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POTENZA – Due o tre persone in Vaticano saprebbero che fine ha fatto Emanuela Orlandi. Una di queste è monsignor Franco Camaldo, nato a Lagonegro.
Questo in sintesi quanto ha affermato, senza giri di parole, Gianluigi Nuzzi venerdì sera in apertura della puntata di “Quarto grado”, la trasmissione di Rete 4 da lui condotta.
Una puntata – filo conduttore “Via crucis” (titolo dell’ultimo libro scritto proprio da Nuzzi n.d.r.) – che si è aperta proprio con quanto scritto dal giornalista in merito al caso di Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana scomparsa nel nulla il 22 giugno del 1983.
Un caso, quello di Emanuela Orlandi, da 32 anni avvolto nel mistero.
Ed ecco che Nuzzi, venerdì sera, ha parlato del giallo all’ombra di San Pietro e della recente archiviazione delle indagini.
La Basilica di Sant’Apollinare, la tomba di Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, organizzazione criminale che per decenni gestì il malaffare a Roma, e una rete inestricabile di misteri, falsi testimoni e depistaggi ad oggi insoluti. Fino a quando non ha pronunciato il nome del monsignor lucano Franco Camaldo, per 15 anni segretario particolare del vicario di Roma, cardinal Ugo Poletti, nonché decano dei cerimonieri pontifici (cioè dei prelati che assistono il Papa nelle funzioni religiose n.d.r.) fino a quando al soglio di Pietro non è salito Josè Maria Bergoglio.
Come lucano era don Donato De Bonis, braccio destro di Paul Marcinkus, passato alla storia come il “banchiere di Dio”.
Quello di Camaldo non è un nome nuovo per le inchieste giudiziare: quella di Perugia sui lavori per il G8 e quella del 2013 sui preti pedofili in Vaticano.
E proprio il suo stretto legame con Ugo Poletti – quest’ultimo il 10 marzo 1990 rilasciò il “nulla osta” della Santa Sede alla tumulazione della salma di De Pedis, nella Basilica di Sant’Apollinare – è alla base di quanto affermato da Nuzzi che sarebbe convinto che la scomparsa di Emanuela Orlandi sia legata a festini a luci rosse all’ombra del Cupolone.
A onor del vero nel 2006 Camaldo finì in nell’inchiesta “Savoia gate” dell’allora sostituto procuratore della Repubblica di Potenza Woodcock – oggi in servizio a Napoli – che lo ascoltò, in qualità di testimone, anche in relazione alla vicenda di Emanuela Orlandi. Seguendo un percorso tortuoso che partiva da Vittorio Emanuele II e si dipana fin dentro le segrete stanze vaticane, il pm anglo napoletano all’epoca si interessò a un “dettaglio” – su cui poi lavorò la Procura di Roma – di non poco conto: ovvero sul perché De Pedis, era stato tumulato in una cripta di quella chiesa di Sant’Apollinare. L’interesse di Woodcock prese il là proprio da alcune dichiarazioni di Pizza, nome in codice “Polifemo”, sulla guerre fra logge massoniche e sul legame tra il Vicariato e il defunto faccendiere Giorgio Rubolino, coinvolto (e poi prosciolto) nelle inchieste sulla morte del giornalista Angelo Siani e su una truffa da 120 milioni di sterline ai danni della cattedrale di San Paolo a Londra.
Più noto il caso della Orlandi, anche per il fatto che era una cittadina vaticana, figlia di un commesso della Prefettura della Casa Pontificia. La sua storia è diventata negli anni sempre più controversa e nelle ricostruzioni uscite anno dopo anno sono stati ritenuti coinvolti, via via, lo stesso Vaticano, lo Stato italiano, ma anche lo Ior, il Banco Ambrosiano, la Banda della Magliana, servizi segreti di più Paesi. Dopo le prime inchieste finite in un nulla di fatto la Procura di Roma aprì un nuovo fascicolo dopo un’intervista a Sabrina Minardi, ex moglie del calciatore della Lazio Bruno Giordano e soprattutto compagna di De Pedis nel periodo della scomparsa di Emanuela Orlandi. Secondo quanto riferì la Minardi, il rapimento della ragazzina fu opera dello stesso De Pedis su ordine di monsignor Paul Marcinkus, presidente dello Ior per 18 anni, per “dare un messaggio a qualcuno sopra di loro”. Anni dopo la ricostruzione fu confermata da Antonio Mancini, altro componente della Banda della Magliana, che – intervistato dalla Stampa – dichiarò che il sequestro da parte della banda fu necessario per “ottenere la restituzione del denaro investito nello Ior attraverso il Banco Ambrosiano”.
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