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DECISIONE E DECISIONISMO sono forse tra le parole più usate e abusate del lessico politico attuale.
Quelle parole fanno riferimento a requisiti oggi considerati indispensabili nella formazione delle élite. Know-how, capacità di anticipazione e previsione sono generalmente ritenuti attributi fondamentali di un buon leader.
Il tema torna attuale, dunque, alla vigilia delle prossime elezioni amministrative.
Ma più in generale come si forma la decisione? Siamo attori consapevoli o macchine biologiche? A queste domande cerca di rispondere Mauro Maldonato nel suo volume Quando decidiamo (ed. Giunti). La decisione precede la consapevolezza e, al tempo stesso, la insegue; attinge dallo sconfinato repertorio di conoscenze accumulatesi attraverso l’evoluzione biologica. E’, questa, in estrema sintesi, la tesi di Maldonato.
Il suo progetto è assai ambizioso e coraggioso: la ricerca di uno spazio, ancora in larga misura inesplorato, tra coscienza e inconscio, Io, Es e Super-Io, andando oltre Freud e facendo tesoro dei più recenti risultati delle neuroscienze.
Per l’autore il cervello si presenta come un “sistema aperto”.
E, quando decidiamo, entrano in gioco le radici biologiche dell’azione umana, la lunga catena dell’evoluzione, consapevolezza e inconsapevolezza, i condizionamenti della specie, ma anche la specificità degli stili individuali.
Maldonato propone di seguire una terza via, per così dire, tra innatismo biologico e condizionamenti dell’ambiente: due visioni assolute da evitare quando vogliamo capire i complessi meccanismi della decisione.
Il libro è ricco di esempi tratti dalla vita quotidiana, dalla pratica sportiva, da altre esperienze artistiche e professionali. Consideriamo il linguaggio. Pronunciamo ogni giorno innumerevoli quantità di parole, “mentre nella sala macchine del cervello i nostri laboriosi sherpa sono intenti a comporre e scomporre frasi assicurando ai nostri discorsi piena fluidità”.
Ai comandi di intricatissime vie nervose obbediscono anche le dita che scorrono veloci sulla tastiera di un computer. Così alla guida dell’auto: dall’insicurezza iniziale e dall’attenzione interamente riservata alle operazioni di guida, passiamo poi ad acquisire gli automatismi che ci consentono di fare anche più cose insieme.
Scrive Maldonato: “Dovremmo essere più generosi verso questi simpatici esserini che affollano le quinte del nostro teatro mentale. Il loro oscuro lavoro ha modellato i meravigliosi congegni della nostra vita di relazione.
Anche grazie a loro si è realizzata quella formidabile sincronia tra movimento, pensiero e linguaggio, che coinvolge i piani alti e quelli bassi del nostro cervello. Anche grazie a loro riusciamo a modificare i nostri schemi d’azione precablati e ad anticipare le scelte future”.
Altro suggestivo esempio: un incidente occorso al grande pianista Glenn Gould. Stava eseguendo l’opera 109 di Beethoven. Fu assalito da un odioso blocco. A tre giorni dal concerto, le mani improvvisamente si irrigidirono fino alla paralisi totale. Gould non si perse di coraggio. Avviò tutti gli elettrodomestici che aveva a disposizione.
Il rumore assordante gli impedì di ascoltarsi mentre suonava. Il blocco, come d’incanto, finì. Un pianista esperto si esercita infinite volte su uno stesso brano, ma ignora cosa stia succedendo nel suo cervello.
Ignora gli sbalorditivi colloqui elettrici e chimici che comandano i muscoli della sua mano quando eseguono scale, accordi. L’esercizio crea l’automatismo.
Il pianista può sbagliare, può bloccarsi. Altri automatismi, assai spesso capricciosamente indipendenti dalla volontà, dalla coscienza e dall’esperienza, liberano il musicista dagli ostacoli.
E’ questo il senso del cervello come “sistema aperto”: esso fluttua continuamente esposto a vincoli interni ed esterni, che oscillano tra disordine e ordine.
Conclude Maldonato: “l’identificazione delle forze motrici della mente è ancora lontana dall’essere conclusa”.
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