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POTENZA – Hanno aspettato dietro ai vetri della sala del consiglio regionale. Erano in tanti, compreso il titolare, Walter Di Marzo.
Ma la proposta di legge per la Clinica Luccioni ieri non è arrivata in consiglio. «Sarà esaminata nei prossimi giorni dalle competenti Commissioni consiliari – ha spiegato il consigliere regionale Vito Santarsiero – per consentire la discussione già nel prossimo consiglio, calendarizzato il prossimo 3 novembre 2015».
La proposta (firmata dai consiglieri Santarsiero, Romaniello, Bradascio, Polese, Rosa, Galante, Pietrantuono, Castelgrande, Giuzio, Pace e Benedetto), «prevede la possibilità per le strutture sanitarie che presentino limiti strutturali insuperabili di adeguarsi alla normativa vigente trasferendosi presso altra sede idonea. Tale possibilità é soggetta a una precisa procedura temporalmente scandita e, a garanzia dell’effettivo trasferimento e relativo adeguamento della struttura, prevede precisi obblighi, oneri ed eventuali sanzioni nei confronti del proponente. Nelle more dei tempi tecnici necessari e all’effettivo adeguamento della struttura si renda possibile la prosecuzione dell’attività al fine di garantirne i livelli occupazionali e l’erogazione del servizio alla cittadinanza».
Quindi la delocalizzazione resta l’unica possibile strada. Ma questa operazione, come dichiarato più volte da Di Marzo, non può avvenire in pochi mesi, serve da un anno e mezzo a due anni. Il 9 novembre, però, scade il termine per gli adeguamenti, secondo la sentenza. A partire da questa data l’istituto sanitario dovrà cessare l’attività e chiudere entro sei mesi.
Intanto per i 31 lavoratori effettivi – non 136 come dichiarato alle conferenze stampa indette dallo stesso Di Marzo, hanno specificato i sindacati – sono partite le lettere di licenziamento collettivo.
Per il titolare non si dovrebbe arrivare a tanto. La clinica rappresenta un presidio sanitario importante in Basilicata per il forte contributo alla mobilità attiva, da fuori regione in Basilicata, creando anche un indotto in città legato all’accoglienza di questa immigrazione sanitaria di pazienti e famiglie «tant’è – ha detto durante uno degli incontri con i giornalisti – che in via Mazzini sono nati anche diversi bed and breakfast».
La vicenda ha inizio con la sentenza del Consiglio di Stato che ha ritenuto legittima la scelta delle amministrazioni locali di negare il rinnovo delle autorizzazioni all’esercizio delle attività a causa di carenze strutturali non sanate, ribaltando la sentenza del Tar Basilicata che, il 28 febbraio del 2013, aveva invece condannato Regione Basilicata e Asp. Quindi la Regione, in sostanza, adesso non può fare altro che rendere attuativa la sentenza, che deriva da una stessa delibera regionale che ha recepito gli ultimi aggiornamenti normativi europei. Questo da un punto di vista amministrativo.
Da un punto di vista legislativo, però, può arginare il problema con una legge di proroga. Come ha precisato Michele Sannazzaro, della Fp Cgil, «non però come è già avvenuta, quindi un’ulteriore proroga per adeguamenti difficili da portare a compimento, ma con un cronoprogramma da seguire entro un tempo determinato».
Ed è quello che chiede lo stesso Di Marzo, che si è sempre detto pronto a delocalizzare e investire, individuando già nel 2014 un sito idoneo in via Don Minozzi, al Principe di Piemonte. Solo che adesso siamo agli sgoccioli. I giorni passano e nonostante la proposta di legge, la clinica ha le ore contate.
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