7 minuti per la lettura
L’inderogabile necessità per la città di Matera di dotarsi di strutture che possano ospitare manifestazioni artistiche e culturali, al fine di consentire di espletare appieno il ruolo di capitale europea della cultura, spingono a volgere lo sguardo al passato per rischiarare e delineare soluzioni ai motivi di tante carenze. Con i primi giorni di febbraio del 1908 a Matera prese avvio il “cinematografo”, proprio nella sala che oggi ospita il Cinema Comunale; così annunciava l’evento un settimanale dell’epoca: “… nella Sala della Società Operaia, si è installato questo pubblico divertimento, per opera di alcuni ben intenzionati cittadini. Il cinematografo avrà così una stabile sede nella nostra città, e funzionerà per tre giorni della settimana; mercoledì, sabato e domenica. Le prime prove hanno incontrato il favore del pubblico”.
Da Napoli, un giornale di matrice cattolica, in quello stesso anno, mostrava interesse alla vicenda del nostro cinematografo, denunciando una questione – per le ripercussioni in casi analoghi tutt’ora irrisolta -, che fu recepita e venne proposta in questi termini dalla consorella locale La scintilla, settimanale del Seminario di Matera: “Questa nostra civica amministrazione, fin dall’espropriazione dei beni ecclesiastici, possiede al centro della città una vastissima sala (una volta chiesa), e dal momento in cui questa proprietà le venne dal “munifico (!)” governo, il municipio non seppe cosa farsene e perciò invitò la Società Operaia a servirsene per la sua sede e per tenere le sue adunanze. Per un venti anni la cosa passò liscia, ma da qualche anno a questa parte la Società Operaia volle usufruire di questo locale a lei affidato gratuitamente, così che quest’anno industriandosi ne ha ricavato un guadagno netto di “lire mille”.
Ma è lecito, ci domandiamo, è giusto far sfruttare una proprietà da pochi, quando è di tutti i cittadini? Perché quel reddito che spetta al Comune, va invece in tasca d’altri? Con qual diritto l’amministrazione cede gratuitamente un locale ad una qualunque Società, quando ci sono altri cittadini che hanno presentato domanda per avere lo stesso locale, pagando un cospicuo reddito? Sottoponiamo il caso alle autorità tutorie da cui aspettiamo disposizioni che saranno eloquente risposta alle nostre giuste domande.”
Noi per parte nostra, non essendo a piena conoscenza dei fatti, non aggiungiamo i nostri appunti. Il fatto potrebbe essere vero e potrebbe essere falso. Facciamo solo notare che se la cosa fosse così come la dice il corrispondente dell’Indipendenza, non sapremmo approvare il modo di agire della nostra amministrazione. Un locale pubblico, se è fruttifero deve esserlo a favore del Comune, e per conseguenza della città e non dei privati. Altre mille lire annue nella cassa comunale permetterebbero, si o no, all’amministrazione di alleviare, anche in parte i gravi tributi comunali?”.
Gli strali ecclesiastici fecero centro e, nel pieno della torrida estate del 1908, comparve il seguente articolo: “Il 23 corr. (agosto) nella Società Operaia si verificò un incidente, che per poco non costò la vita a parecchie persone. La macchina cinematografica stava svolgendo la prima proiezione della serata, quando di botto venne a mancare la luce elettrica. Il pubblico, che quella sera, perché giorno festivo, era numeroso, non s’intimorì, ma i ragazzi specialmente cominciarono a strepitare e a gridare con quanto ne avevano in corpo. Il manovratore cercava di acquietarli con le buone, quando, senza saper come, le pellicole presero fuoco, e la gente spaventata, si precipitò alla porta. Le fiamme distrussero completamente i quadri della rappresentazione di quella sera e si dovette al sangue freddo e alla presenza di spirito del manovratore se l’incendio potette essere subito circoscritto. Come suole avvenire in simili circostanze non mancarono degli episodi dolorosi, ma tutti gli spettatori, all’infuori di un po’ di paura non soffrirono di nulla: solo un giovine addetto alla luce elettrica, corso per vedere di che si trattasse, fu colpito da mancanza di respiro a causa dell’odor sgradevole che si sprigionava dalle pellicole, ma la sua asfissia in forma assai leggiera cessò ben presto. Il danno subito dalla Società è di lire 600”.
Quegli stessi spazi, qualche anno prima, erano stati chiamati in causa per via di un evento che vi si era svolto, patrocinato sempre dalla locale Società Operaia, e che avevano provocato un interessante dibattito sulle prospettive culturali ed artistiche di Matera, che avrebbero potuto sortire migliori destini se la Città avesse potuto vantare un efficiente collegamento ferroviario alla rete nazionale. Assenza, accusata agli albori del secolo passato, e che perdura ancora oggi, addirittura nel Nuovo Millennio. Una mancanza che pesa crudamente sulle condizioni economiche e sociali del territorio.
Il 2 gennaio del 1902, infatti, nella pagina dedicata alla Cronaca Artistica di un settimanale materano, comparve il resoconto di una iniziativa tenutasi nei locali della Società Operaia, siti nell’ex Convento dell’Annunziata; il cronista esordiva con le seguenti domande: Vive l’arte in Matera? Ha essa un avvenire?[…] il sentimento dell’arte c’è… ma purtroppo condannato a morire se qualcuno non lo tenga desto rialzando le condizioni economiche ed intellettuali del paese. Un tronco di ferrovia, che oltre ad aumentare la ricchezza agevolando il commercio, avvicini l’educazione di un popolo più avanzato in civiltà a quello dell’altro più bambino manca ed inoltre un teatro dove lo spirito si ricrei e nel diletto si istruisca manca. Si provveda a tutto ciò e la prosperità economica ed intellettuale del paese sarà fatta”.
Si riparlò di “cinematografo” nel dicembre 1908: “Il cinematografo Iride, che aveva sospeso le sue rappresentazioni per la venuta della Compagnia drammatica, le ha riprese sabato scorso, offrendo al pubblico ottime proiezioni a colori. Questa volta l’Amministrazione ha creduto, nell’interesse degli assidui, di ribassare i prezzi. Un bravo di cuore!”.
Quella Nota di cronaca accennava non soltanto al “cinematografo” nella Matera del 1908, ma preannuciava anche un nuovo teatro: “Nel giardino adiacente all’Albergo d’Italia, il giovine artista Michele Amoroso sta costruendo un nuovo teatro, su disegno eseguito da lui stesso, tenendo conto di tutte le esigenze moderne. L’iniziativa ha incontrato le generali simpatie”. Appare bizzarro, a più di un secolo di distanza, come la situazione dei locali di pubblico spettacolo nella Città dei Sassi, sembri riproporre analoghe condizioni. Anche oggi uno dei cinematografi della città, collocato in pieno centro e testimonianza di riconosciuta valenza architettonica, risulta chiuso e inagibile. Gestioni non fortunate sono state alla base di questa situazione, tanto che uno dei veicoli di manifestazioni artistiche (non solo film, ma anche rappresentazioni teatrali ed esibizioni musicali) non sia più fruibile per i componenti di una collettività alla quale è stato riconosciuto l’ambito e meritato titolo di Capitale Europea della Cultura.
E poi c’è anche il “Teatro”. Accanto ad una idonea e documentata accezione dell’aggettivo ‘nuovo’, adoperato dall’ignoto estensore della Nota: nuovo perché fino a quell’epoca mai presente, o nuovo perché più moderno rispetto ad un altro più vecchio e preesistente, rimane inalterata la situazione che rileva, indiscutibilmente, l’assenza di una struttura idonea e funzionale che abbia le caratteristiche di Teatro. Potrebbe essere questo uno degli obiettivi da raggiungere da parte di una Amministrazione cittadina, sensibile alle esigenze di diffusione e creazione di differenti forme culturali, ed attenta e responsabile per gli impegni che la comunità internazionale le ha affidato.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA