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«SOLO il referendum può fermarli». Così il presidente della Regione Puglia Michele Emiliano ha commentato sul suo profilo facebook, la notizia del via libera del Ministero dell’ambiente ai primi due permessi di ricerca dello Shell nel mar Ionio, a largo delle coste lucane e calabresi.
«Noi non ci arrenderemo mai». Tuona l’ex pm, che a luglio era a Policoro assieme al suo omologo lucano Pittella e al calabrese Mario Oliverio, proprio per protestare contro i programmi del Governo di trivellazioni in mare aperto.
«Nonostante otto Consigli regionali abbiano richiesto l’indizione del referendum anti-trivelle – insiste Emiliano – e nonostante la Conferenza delle regioni italiane all’unanimità abbia approvato il documento di Termoli contro le trivellazioni in mare – aggiunge – il Governo va avanti imperterrito».
Ieri intanto sulla questione sono intervenuti anche Greenpeace e il Coordinamento pesca dell’Alleanza delle Cooperative italiane, per «difendere il mare, la pesca, l’economia locale e il turismo dalla minaccia delle trivelle offshore, e soprattutto la pratica dell’airgun (cioè l’esplosione in acqua di bolle ad aria compressa per fare ricerca esplorativa)».
In pericolo – spiegano – c’è «l’integrità degli ecosistemi marini e l’intero comparto della pesca»; in particolare il Mediterraneo, con l’Adriatico e il canale di Sicilia.
Alessandro Giannì di Greenpeace parla di «negatività» nel portare avanti questo tipo di attività, mettendo in evidenza i danni per la fauna ittica (specie per i cetacei) e quanto siano manchevoli le valutazioni di impatto ambientale in Italia.
«I pescatori sono sempre più sentinelle del mare – osserva il presidente di Federcoopesca, Paolo Tiozzo – c’è l’interesse di difendere l’importante patrimonio marino dalle trivelle. Questa strategia fossile è dannosa sia economicamente sia ambientalmente: per esempio l’airgun può provocare danni fisici e decrementi del pescato compresi tra il 20 e il 70%».
Greenpeace e il Coordinamento pesca dell’Alleanza delle cooperative italiane pensano che «il piano di petrolizzazione dei mari italiani, promosso inizialmente dal governo Monti, poi sostenuto da quello Renzi, sia un “nonsense” dal punto di vista economico, energetico e ambientale nonché negativo rispetto all’impegno di contrastare i cambiamenti climatici».

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