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VENOSA – Forse non tutti sanno che nel 1869 a Muro Lucano era nato un avanguardistico Consorzio che univa 10 mugnai e suggeriva un concetto di “rete” divenuto oggi refrain imprenditoriale. C’è un turismo dei mulini che può far rivivere, tra la Basilicata e la Puglia, un distretto industriale nato oltre 130 anni fa: la regione delle farine – che ricalca i fasti del granaio già sfruttato dai Romani duemila anni addietro – aveva a Matera il suo polo da contrapporre ad Altamura, Pulsano e il Salento in genere, fino al Foggiano e al Barese ancora oggi leader nella produzione di pasta.
La “sorellanza” con la Puglia ha insomma radici ben più lontane di quelle che oggi animano il dibattito sulla “longa manus” di Bari sulla Capitale della Cultura 2019; così come il tormentone Macroregioni è niente rispetto alla demarcazione classica che da sempre salda Apulia e Lucania. Che la fusione possa essere virtuosa anche, anzi soprattutto, fuori dalla politica lo dimostra da ultimo il convegno nazionale iniziato ieri a Venosa e dedicato all’archeologia industriale come patrimonio dell’alimentare tra Basilicata e Puglia. L’evento rientra nell’anno europeo del patrimonio industriale e tecnico: a introdurre la sessione mattutina Antonella Pellettieri dell’Istituto per i Beni archeologici e monumentali – Cnr oltre che responsabile del Progetto Mensale. La scelta di Venosa premia un luogo unico per la stratificazione storica di “una città – commenta Pellettieri – che non è solo Orazio, vino e olio”. L’assessore comunale Carmela Maria Rosaria Sinisi nell’accogliere la pattuglia di esperti arrivati da tutta Italia non può che ringraziare per la lodevole operazione di marketing territoriale.
Ad Emmanuele Curti dell’Università della Basilicata il compito di illustrare la felice esperienza, per ora ancora in nuce, del molino Alvino di Matera: nell’esposizione per slide curata da Luca Centola (membro come Curti della sezione lucana dell’Associazione italiana patrimonio archeologico industriale) c’è la parabola secolare della famiglia che, giunta a Matera nel Settecento da Gragnano, nel 1884, dopo una fiorente attività bancaria, si reinventa primo gruppo industriale nel campo delle farine. Siamo negli anni in cui per la prima volta le donne si affrancano ed emancipano andando a lavorare fuori dalle mura domestiche. Alvino vince premi e si fa notare nelle Esposizioni di Torino (1911), poi a Parigi. Nel 1913 è tra gli stabilimenti scelti dagli industriali svizzeri Buhler per l’installazione di un impianto all’avanguardia. La storia di questo mulino disegna gli scenari della crisi a cavallo tra le guerre: nel 1932 la bancarotta e l’asta giudiziaria, nel dopoguerra è rilevato dalla famiglia Manfredi con i latifondisti Quinto di Pisticci. Mezzo secolo dopo l’arrivo di macchine all’avanguardia (1963) un nuovo mulino e i silos ma il crollo generalizzato della produzione si acuisce negli anni Settanta. È così che – come spiega Renato Covino dell’Università degli studi di Perugia nella sua relazione-excursus “Dai molini tradizionali ai molini industriali” – il declino della molizione fa registrare addirittura casi di riconversione dei mulini a cilindro di fine Ottocento in stabilimenti per la lavorazione di mangimi animali.
Matera perde un luogo dell’anima che col suo panificio e le sirene dei turni lavorativi scandiva i tempi del quartiere Piccianello, tappa della Bruna e dunque angolo di materanità sacra e profana. Nel 1982 arriva l’acquisizione di Barilla e il trasferimento in un nuovo stabilimento che causa il rischio abbandono per il palazzo storico: l’Aipai si oppone al progetto che vi immagina 150 alloggi e il MiBac pone il vincolo sul mulino, pronto alla sua ennesima rinascita come polo di narrazione museale della lavorazione del grano oltre che incubatore di imprese culturali e creative. L’aspettativa del nuovo proprietario (Nicola Benedetto) è una sorta di Eataly versione lucana che nei giorni di Matera2019 ridisegnerà la zona a est vicina alla cave del Settecento e alle chiese rupestri, al mercato e al vecchio mattatoio.
Progetto virtuoso che pone la Basilicata come capofila anche rispetto alla Terra d’Otranto in cui tra fine XIX e inizio XX secolo fiorirono, in corrispondenza con l’espansione della linea ferroviaria, mulini dallo stile liberty tanto nell’architettura quanto nella grafica dei pacchi di pasta. Maria Guglielmetti dell’associazione culturale La ‘ngegna, oltre che membro di Aipai Puglia, racconta una battaglia persa, almeno finora: quella del glorioso molino a cilindri di Francesco Scoppetta (pure lui campano), fondato nel 1866 e anch’esso tra gli stabilimenti scelti dai fratelli Buhler per sperimentare e diffondere i loro macchinari. Uno scherzo del destino vuole che il fascinoso palazzotto di Pulsano rischi di diventare pizzeria dopo un lungo tira e molla burocratico. “A Matera sarete più fortunati” esclama Guglielmetti. “Speriamo…” sorride Curti. Che poi introduce due ricercatrici pugliesi (Paola Durante e Sofia Giammaruco) a raccontare l’altra faccia della renaissance archeo-industriale leccese: nella Grecìa salentina c’è proprio un molino – il Coratelli & Imparato – tra i 12 luoghi scelti all’interno del progetto Inculture (Innovazione, cultura, turismo, restauro) che con fondi ministeriali ed europei punta a riempire di senso contenitori negli anni svuotatisi. Ecco che il vecchio mulino diventa luogo, anche qui, di narrazione attraverso la fotografia e il cinema: altri spunti, magari, per Palazzo Alvino.
Franco Antonio Mastrolia e Antonio Monte introducono la sessione pomeridiana dedicata alla pasta: fascinosa la relazione di Antonio Marchetti, storico dei pastifici campani e presidente dell’associazione culturale GragnanoOltre che spiazza l’uditorio quando afferma “il terremoto del 1980 fu una salvezza”. Il motivo? Con finanziamenti a fondo perduto per il 75%, aziende come Garofalo si rilanciarono passando dai 200 quintali di prima ai 4/5mila di oggi (sono i numeri di aziende pugliesi del calibro di De Cecco e Divella).
Poi Mauro Ciardo (Aipai Puglia) col suo focus sui pastifici pugliesi e lucani introduce Benedetto Cavalieri, titolare con il figlio Andrea Maria del pastificio omonimo fondato dal nonno nel 1918 a Maglie (Lecce). È il classico esempio di azienda medio-piccola che punta sulle materie prime seguendo la bussola del rapporto qualità-prezzo per aggiornare un concetto di lavorazione slow contro l’essiccazione velocissima e ad alte temperature dei grandi gruppi industriali.
Oggi sarà la volta di olio e uva, domani si chiude con la tavola rotonda su “Patrimonio industriale in Basilicata e Puglia: Normative, politiche di tutela e valorizzazione” cui parteciperanno tra gli altri i consiglieri regionali Mario Polese e Roberto Cifarelli e il vicepresidente del Consiglio Francesco Mollica.

e.furia@luedi.it

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