4 minuti per la lettura
POTENZA – Adil ha 25 anni, viene dal Pakistan ed è ingegnere informatico. Appese, ai piedi del letto, ha una giacca scura e una camicia. Ben curate, per nulla sgualcite. Quella giacca, probabilmente, serve a ricordare ad Adil chi è. Arrivato in Italia dopo un viaggio in un barcone insieme a uomini, donne e bambini che fuggono dalla guerra, i soprusi, la povertà, vive insieme ad altri 59 rifugiati all’ex Ferrotel della stazione superiore. Altri 19 ne sono arrivati ieri sera. La sua è una camera doppia ma ci sono anche camere singole. La struttura, dismessa nel 2007 e recuperata oggi dalla società cooperativa Global Service – già impegnata in Italia nell’assistenza agli anziani – per trasformarla in un centro di accoglienza, per le sue caratteristiche particolari, ha destato l’attenzione del consigliere comunale Giuseppe Giuzio, che, ieri mattina, ha visitato il centro per accertarsi che i residenti fossero stati accolti nel migliore dei modi e che la loro presenza non creasse conflitti con la città. «La preoccupazione – spiega il consigliere – derivava dalla tipologia di struttura, diversa dalle altre messe a disposizione dalla città per l’accoglienza dei rifugiati. L’idea che potesse ospitare fino a 100 immigrati mi ha fatto protendere per questa visita, per verificare di persona le reali condizioni. Dal sopralluogo e dalle parole dei soci della cooperativa, oltre che dalle informazioni ricevute dalla Questura, sembra che non ci sia alcun tipo di problema. Anzi. Questi giovani che gestiscono la struttura vanno ben oltre gli impegni a cui dovrebbero assolvere. Hanno a disposizione un medico che effettua visite tre volte a settimana ed è sempre reperibile, dalla prossima settimana cominceranno i corsi di italiano, inglese e francese». Gli ospiti della struttura, la maggior parte dei quali trasferiti da altri centri di accoglienza, sono a Potenza dal 25 settembre. A ciascuno è stato consegnato un kit personale con dentifricio, spazzolino, bagnoschiuma e un secchio con straccio, per l’igiene personale e dell’ambiente, secondo indicazioni ben precise. Il pranzo viene preparato dalla mensa di fronte alla struttura, in quanto all’interno non si può cucinare e somministrare pasti, almeno per il momento. Perché l’idea della cooperativa è quella di favorire momenti di integrazione con pranzi interculturali, alternando la cucina africana a quella lucana. Oltre ad avvalersi della professionalità di un medico e di un legale, la risorsa maggiore della cooperativa sono i tre mediatori culturali, due africani e una ragazza di Potenza. Sono loro che accompagnano i rifugiati nell’affannoso rapporto con Questura, strutture sanitarie e tutte le istituzioni che ruotano attorno a questi stranieri che, come chiunque arrivi in quelle condizioni in un paese con cultura e lingua differente dalla propria, è del tutto frastornato, impaurito, disorientato. Le carte da compilare sono tante e le lungaggini burocratiche non aiutano. Ecco perché molti di loro sono diretti in Germania o in altre parti d’Europa. Qualcuno, come i siriani, fanno tappa al Ferrotel solo di passaggio: due, tre giorni per rimettersi in sesto e ripartire. Che la loro permanenza sia di giorni o di mesi, il segno che lasciano in questo gruppo di ingegneri della Global service o nei potentini che li incontrano sono indelebili. «Pensavamo di incontrare delle resistenze nella popolazione del quartiere – racconta Domenico Tammone, della cooperativa – e in effetti quando abbiamo cominciato a sistemare la struttura e si è sparsa la voce le abbiamo avute. Ma una volta che i rifugiati sono arrivati e la gente ha visto con i propri occhi che non c’è nulla di cui preoccuparsi, i primi a fornirci indumenti o ad offrirci dei buoni pasti sono proprio i vicini». La struttura, prima di essere riaperta, è stata ripulita sia dentro che fuori, anche perché per lungo tempo era stata abitata abusivamente. Sono stati ripristinati tutti gli impianti ed è stata sottoposta ai controlli dei Vigili del fuoco. Il Ferrotel ha una sala mensa, un’aula di informatica con computer e un televisore e chiude alle 23. Gli ospiti hanno una sorta di carta di riconoscimento personale, con foto, nome e cognome, con cui si attesta in qualche modo che soggiornano qui. Piccoli espedienti che “mettono al sicuro” gli ospiti e la città che li ospita insieme allo straordinario lavoro dei mediatori culturali.
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA