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L’IMBARAZZO per non poter offrire una guida all’ospite eccellente e l’orgoglio di lasciare la Pinacoteca provinciale di Potenza con un’insperata consapevolezza: il Sud (anzi i Sud, come vedremo) ce la può fare. C’è tutto e il contrario di tutto nell’incontro che Luca Meldolesi, economista delle cose e delle persone molto lontano dai soloni della finanza, ha tenuto l’altro ieri, ospite del ciclo Letti di Sera: il paradosso del Mezzogiorno lagnone eppure pieno di potenzialità, il luogo comune dell’emigrato triste, l’importanza della falsa mozzarella di bufala che fa da traino a quella vera, la scarsa autostima che si contrappone alla fortuna di cui «l’italicità» gode nel mondo e non solo nelle tante Little Italy – che sono in realtà una “Grande Italia” con i suoi 200 milioni di abitanti, il 70% dei quali proprio di origine meridionale, e le 24mila aziende italiane riunite in 81 Camere di Commercio sparse per il globo.
Lo spunto del dibattito è il quadro a tinte fosche dipinto in estate dalla Svimez: nell’allargarsi della forbice tra le due Italie, il Sud arranca con performance degne della Grecia in crisi. Lettura parziale – in entrambi i sensi: incompleta e di parte – e «statalista», commenta Paolo Albano introducendo Gianni Molinari, firma economica del Mattino oltre che allievo di Meldolesi. Un ministero o una rinnovata Cassa per il Mezzogiorno non risolverebbero i problemi, dice Molinari, e gli basta citare un episodio vissuto al seguito dell’allora ministro Nicolais, a Bruxelles per cercare canali di finanziamento e puntare sulla fiscalità di vantaggio: gelo in sala quando l’alta funzionaria rispose in soldoni che per l’Italia ci sarebbe stato aiuto solo dal momento in cui avesse dimostrato di meritarselo.
Meldolesi ascolta e annuisce sorridendo. Viaggia a una media di due libri l’anno, si definisce «eretico», è un campano felice con dna (e pragmatismo) toscano («al nord ci sono più soldi ma al sud più energia: senza questa energia non avrei fatto tutto quello che ho fatto»), è stato per trent’anni un pendolare della conoscenza Italia-Usa (allievo di Albert Otto Hirschman) e dunque può condire le sue teorie con numeri, nomi e soprattutto storie.
I casi che sottopone all’attentissimo uditorio (si scoprirà che c’è gente che legge i suoi libri dal 1972, qui nella saletta piena di dipinti lucani) sono esemplari anche nel loro ribaltare i luoghi comuni sull’efficientismo nordico da contrapporre al fancazzismo indolente terrone: il sesto figlio del muratore di Avellino che sta comprando aziende su aziende di componentistica in Val Padana (perché «i migliori sono quelli che hanno origini umili»), e poi tanti piccoli esperimenti, modelli virtuosi del privato trasferiti nel pubblico («il mercato esiste anche qui»), dalla Provincia di Benevento che con il presidente Carmine Cardone mette in rete le eccellenze sparse per il mondo a Francesco Cicione che da Settingiano (Catanzaro) ha fatto lo stesso con i calabresi nel mondo.
E poi il nuovo corso di Casal di Principe. Salendo, ecco l’Asl di Pescara che dopo una ristrutturazione ha registrato un salto di produttività («l’innovazione può essere anche organizzativa»), il Policlinico di Roma che s’è inventato un pacchetto all inclusive per i clienti italoamericani facendo risparmiare loro i 2/3 di ciò che spendono in Usa, la Fenice di Venezia che aumentando gli sforzi (e automaticamente gli introiti) ma non i costi è passata da 70 a 170 spettacoli l’anno. Per non parlare di tutti quei «paesi di un’Italia ignota che si sono letteralmente arricchiti con la differenziata» e qui in sala scatta un certo complesso di inferiorità…
Il concetto che Meldolesi vuole far passare è che «con una vera ristrutturazione la produttività in Italia può raddoppiare, non ci sono casi simili al mondo. Le Regioni? Sono nel cloroformio. Non sono state ancora aggredite, per ragioni di convenienza politica. Su tagli e razionalizzazione della spesa il ministro Delrio sta facendo moltissimo, ma vi posso dire – avendo lavorato in totale per 10 anni in commissioni governative – che è difficilissimo».
Però le disfunzioni sono innegabili. «Perché i ponti in Italia pesano il doppio di quelli svizzeri? Il mio motto è “fare meglio e di più con meno”, e anche nel pubblico è possibile, basta non sprecare, proprio come facciamo a casa. Ormai siamo assuefatti ma la strada è tracciata, bisogna liberarsi delle zavorre culturali: il futuro è il terzo settore, il cooperativismo ma fuori dalle logiche assistenziali, serve superare ostacoli come l’isolamento, l’incapacità di fare rete e la scarsa conoscenza dell’inglese. Il sapersi ingegnare è una cosa molto meridionale, e non parlo solo delle frappe di San Giuseppe a Boston, bisogna sfruttare l’enorme potenziale che c’è e se lo Stato non lo sa fare, il problema è di governance più che di classe dirigente. Potenzialmente il Paese è molto più ricco di quello che crede».
Meldolesi cita il Carlo Cattaneo dei «popoli italiani» – allo stesso modo non esiste un solo Sud – e l’amico e collega Marco Vitale secondo cui «per il Mezzogiorno sono state fatte tutte le politiche eccetto quella giusta». Con un altro amico, Adriano Giannola, parla di tutto tranne che di economia: è il presidente Svimez…
Dal pubblico, Simona Bonito sintetizza bene un idem sentire in una formula: «Tra il dire e il fare c’è di mezzo il Sud». Meldolesi risponde con un altro caso che dimostra come le inefficienze non si trovino solo a queste latitudini: a Pavia un impiegato, per non saper leggere un foglio excel, stava per dare l’ok a un quarto cimitero, inutile. E poi rilancia con il classico ribaltamento del «come siete fortunati!» degli stranieri in visita dalle nostre parti contro il «come siamo disgraziati…» di chi non crede nelle proprie potenzialità. Ha vissuto negli States, neanche così lontani, dove gli italiani si americanizzavano il cognome per vergogna. Ora l’italicità, come lui ama chiamarla, è mostrata con orgoglio: solo nell’Ontario ci sono 400 club di «italici», e «più ci allontaniamo dall’Italia più si parla bene dell’Italia. Giuseppe Sala, commissario dell’Expo2015, l’altro giorno ha scritto sul Corriere della Sera che ci sono 100 milioni di cinesi che vogliono venire a vederla. Il mondo si restringe e sempre più gente ci dice: Ma voi siete pazzi? Avete questo tesoro e non fate funzionare il sistema pubblico?». Dal pubblico domanda sui patti territoriali, risposta: «Una tragedia. Soldi buttati».
E la Basilicata? Il caso Melfi è l’esempio di un traino che dà nuovo protagonismo internazionale e centralità al Sud e all’Italia. È il messaggio che Meldolesi vuole lanciare con la sua fondazione che «senza un soldo pubblico» collega aziende e intelligenze, dà borse di studio e cerca di parlare al mondo partendo da un sito e dal moderno esperanto che è l’inglese.
La chitarra di Gianfranco Somma, menestrello giramondo che si prepara a suonare in Messico e in Giappone, incanta con le note di Mario Giuliani (Bisceglie 1781-Napoli 1829), violoncellista internazionale ma orgogliosamente meridionale con un antesignano spirito glocal. In tema con la serata partecipata e godibile, come tutti i venerdì di Albano&co. E non c’è neanche bisogno del buffet!
e.furia@luedi.it
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