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POTENZA – Rispetto a quanto incassato nel 2014, per la produzione del 2013, mancano all’appello poco meno di 18 milioni di euro. Ripartiti tra Regione e comuni della Val d’Agri. Nonostante un piccolo aumento dei barili di greggio e dei metri cubi di gas naturale estratti.
Sono questi i numeri del gettito delle royalties per il 2015, che come sempre si riferisce alla produzione dell’anno precedente.
Li ha resi noti nei giorni scorsi l’Ufficio risorse minerarie del Ministero dello sviluppo economico.
I calcoli evidenziano una calo dovuto in particolare all’andamento del prezzo del greggio, che dal 2013 al 2014 è sceso di quasi il 10%, passando da 108 dollari al barile a 98. Quest’anno poi le borse hanno segnato un ulteriore deprezzamento nell’ordine del 40%, ma i suoi effetti in termini di royalties si vedranno soltanto a giugno del 2016, quando è previsto che Regione e comuni passino all’incasso un’altra volta.
Un discorso diverso va fatto per il gas naturale, su cui pende il ricorso presentato da Eni e Shell al Tar di Milano sul criterio di calcolo delle relative royalties, che è diverso dal metodo applicato per il greggio, con l’applicazione di un’aliquota alla «media ponderale dei prezzi di vendita».
Proprio ieri il Consiglio di Stato ha intimato ai giudici di primo grado di accelerare i tempi della decisione su una causa che vale una decina dei 168milioni di royalties per la produzione del 2014. Perciò domani, se le compagnie dovessero vedersi riconosciute le loro ragioni dopo aver versato preventivamente quanto dovuto secondo i vecchi criteri di calcolo, non è escluso che si rivalgano sulle spettanze per la produzione del 2015. Riducendo ancora l’afflusso di risorse nei bilanci delle amministrazioni petrolifere lucane e non.
Infatti, secondo le due compagnie titolari della concessione per l’estrazione di petrolio e gas dal giacimento della Val d’Agri il Ministero dello sviluppo economico avrebbe gonfiato «artificiosamente» l’importo dovuto. Fissando un valore per la produzione di idrocarburi gassosi notevolmente maggiore rispetto ai prezzi di mercato. A causa «del calo della domanda e dello sviluppo della concorrenza nei mercati all’ingrosso». Sommati all’effetto combinato del decreto “cresci Italia”, approvato nel 2012, e di un paio di delibere successive dell’Autorità per l’energia elettrica, il gas e il sistema idrico, competente per le tariffe delle forniture di gas naturale alle utenze non industriali del cosiddetto “mercato tutelato”.
Alla base della questione c’è la decisione con cui nel 2013 l’Autorità avrebbe «riformato il metodo di determinazione delle condizioni economiche di fornitura nei confronti del mercato tutelato». Intervenendo proprio sul «calcolo del costo della materia prima», che è stato agganciato alle quotazione sul «mercato a breve termine» dell’hub olandese Tts, punto di riferimento per l’Europa continentale.
In precedenza le tariffe per le utenze non industriali venivano calcolate «sulla base di indicatori legati alle quotazioni medie del petrolio e di altri combustibili sui mercati internazionali». Un indice, soprannominato “quota energetica del costo della materia prima gas” (QE), evidentemente più rigido, quindi abolito dal governo Monti «per per avvicinare i prezzi italiani a quelli europei».
Ebbene le royalties per il gas sarebbero rimaste agganciate alla «media aritmetica relativa all’anno di riferimento dell’indice QE, quota energetica del costo della materia prima gas». Dunque l’obiettivo delle due multinazionali sarebbe quello «di garantire che le royalty rispecchino il corretto valore del gas naturale, appunto definito mediante l’incontro della domanda e dell’offerta». Un incontro sempre più economico, grazie soprattutto all’ultima “rivoluzione industriale” americana, provocata della diffusione delle tecniche di estrazione di petrolio e gas dalle argille (shale).

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