X
<
>

Share
3 minuti per la lettura

Se arrivate a Brienza da Tito, vi immergerete in una vista mozzafiato di montagne verdi e linde borgate che ricordano paesaggi nordici. Lasciata sulla destra Satriano con la sua torre solitaria vi apparirà, prima di fronte in lontananza e poi sulla destra sempre più da vicino, il castello Caracciolo. La struttura domina una fantastica scena arricchita dalla chiesa di San Martino, dai cui pressi sale il “camminamento”, disposto come una lingua di pietra che si inerpica fino al castello stesso, dal borgo medioevale e da una serie di ruderi che arrivano giù fino al torrente Fiumicello che, insieme con l’altro torrente, il Pergola, avvolge la cittadina. I ruderi, fette di muri perimetrali in piedi per puro miracolo, sono tutto quel che resta del rione San Martino, attraversato dall’antica ”via nova” , ora solo un sentiero, che lambisce la casa di Mario Pagano, martire della rivoluzione partenopea del 1799. Nel centro moderno è situato il Municipio, già Convento dei Frati Minori Osservanti, di fronte al quale, in un’ampia e panoramica piazza, è situata l’imponente statua del giurista burgentino. Da qui potrete cominciare la bella esperienza che abbiamo vissuto noi grazie ad Antonio Di Stefano, che renderete felice se gli chiederete di accompagnarvi nella visita, gratuita e possibile su prenotazione sabato e domenica. Antonio si è fatto promotore presso l’attuale amministrazione della selezione di sette laureati nelle più svariate discipline i quali, remunerati poco più che simbolicamente con un voucher e coordinati da egli stesso, sono a disposizione dei turisti per accoglierli, orientarli ed accompagnarli nella passeggiata. Dopo averci fatto ammirare gli affreschi dell’ex convento (fatevi raccontare il bellissimo significato di quello su S.Antonio da Padova,del contadino miscredente e del suo mulo…convertitosi prima del suo padrone!) Antonio e Antonella Collazzo, una dei sette, ci conducono verso il centro storico tutto in ristrutturazione ed inaccessibile se ci si incammina da soli. Ma per noi si aprono cancelli e porte quando arriviamo nei pressi del “chiazzino”, piazzetta dalla quale si accedeva al castello; accediamo al borgo ed alla “via degli archi” da via S.Maria dalla quale si diparte poi la “rua” di S. Elisabetta dov’era la ruota degli esposti di un piccolo monastero di suore che si occupavano dei bambini colà abbandonati. Il meccanismo che faceva girare la ruota era detto “ntrocchia”: da qui l’espressione ancora oggi usata… Più in là, entrati nel castello, ascoltiamo la suggestiva storia del monumento e dei suoi numerosi possessori succedutisi, prima di inoltrarci fino alla chiesa di S.Martino (o Madonna delle Grazie) .Qui si resta incantati dai luoghi impervi ed abbandonati e dal silenzio assoluto rotto solo dal leggero suono delle acque sottostanti, nelle quali Antonio ed i ragazzini suoi coetanei solevano andare a rinfrescarsi. In questi antichi luoghi, fra i resti di queste mura, se ci si sofferma senza fretta, si possono immaginare le gioie ed i dolori, le antiche processioni, i soldati di guardia darsi il cambio lungo il camminamento, i mercanti e gli artigiani, gli ortolani,il vociare dei popolani, il razzolare delle galline e lo starnazzare delle oche al passaggio dei carretti e delle carrozze…

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE