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Egidio Tamburrino salì agli onori delle cronache quando venne citato sulla gloriosa rivista satirica comunista “Cuore”, in relazione a un suo cugino omonimo romano (che taluni indicano come la vera mente dietro le sue storiche imprese) il quale all’epoca aveva proposto, tra lo scalpore generale, che per risolvere l’annoso problema del traffico romano bisognava cementificare il Tevere e trasformarlo in un’autostrada! Geniale. Era il 1991 e il Tamburrino materano aveva appena inaugurato il complesso denominato – all’epoca – Piazza Kennedy (poi ribattezzato, banalmente, Piazza Mulino): un ente di Stato, quando ancora c’erano gli enti di Stato, lo comprò per 30 miliardi. Si trattava di un’ardita operazione architettonica, fatta demolendo un glorioso molino della città, quando ancora tali manufatti si potevano demolire. Il progetto è firmato da un archistar, protagonista della (ri)nascita di Matera, negli anni ’50, quando la città divenne un laboratorio per i migliori urbanisti in circolazione: Carlo Aymonino. Piazza pubblicata su illustri riviste, che ridisegna il centro congestionato di un’anestetizzata città di provincia, proiettandola sui palcoscenici che oggi conosciamo, non passa inosservata. Egidio Tamburrino balza al primo posto tra i contribuenti lucani e molti cominciano a chiedersi chi sia questo misconosciuto e misterioso imprenditore fattosi nel nulla, schivo e riservato in maniera quasi studiata ma autentica. Umile, quasi, nel suo stile, rimasto immutato negli anni, ma sempre pragmatico e veloce. Rapidissimo. A dispetto dei tempi preistorici della città di pietra, Tamburrino ne incarnò lo spirito più autentico. Non fu un volgare palazzinaro, come superficialmente si potrebbe essere indotti a credere, ma un “costruttore” nel senso più nobile del termine. Che in un posto come Matera, cioè perennemente da costruire, scavando e demolendo, erigendo e stuccando, sudando e bestemmiando, rappresenta la massima espressione antropologica della sua essenza, fattasi uomo. Tamburrino era un materano verace, cresciuto nei Sassi, dove fino a poco tempo fa circolavano ancora leggende sulle sue eroiche gesta da bambino ribelle, quando si vendeva la lana dei materassi di casa e la mamma lo scopriva e lo rincorreva col battipanni tra i vicoletti del Barisano. Quelli furono probabilmente il primo gruzzolo su cui quest’uomo costruì la sua fortuna. Come in un sogno americano che in questo caso chiameremo “materano”: il sogno del mattone. Come ogni sogno che si rispetti, però, anche qui l’incubo è in agguato. Ricordate la telenovela sudamericana “Anche i ricchi piangono”? Bene, la vita di Egidio fu più o meno così, costellata di svariati dolori, però con la devota moglie sempre al fianco. La signora Chiara, donna fiera e perbene, anche lei poco avvezza alla mondanità, ma con un debole per il teatro. Una volta il marito voleva costruirgliene uno. In quell’area dove ora sta nascendo un parcheggio tra Via Lucana e la Banca d’Italia. Luogo strategico, ora più che mai vitale della città. Venne scomodato persino Renzo Piano. Tamburrino l’avrebbe fatto. Ma glielo impedirono. La città gli ha perdonato poco. Ma lui le lascia la cosa più grande che potesse lasciarle: un nuovo skyline. I funerali si terranno oggi alle 15,30 nella chiesa di S. Agnese.
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