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POTENZA – «L’appello della Regione Basilicata merita accoglimento, con conseguente rigetto del ricorso proposto in primo grado dalla Casa di Cura contro i provvedimenti impugnati».
Forse non se l’aspettavano questa sentenza i vertici della casa di cura “Clinica Luccioni”. Eppure il Consiglio di Stato ha ribaltato la sentenza del Tar Basilicata che, il 28 febbraio del 2013, aveva invece condannato Regione Basilicata e Asp.
Secondo i giudici del Consiglio di Stato, quindi, sussisterebbero tutte le condizioni per ritenere legittima la scelta delle amministrazioni locali di negare il rinnovo delle autorizzazioni all’esercizio delle attività. Ci sono carenze strutturali non sanate. Ma, sotto la lente, anche la questione dell’attività di fisiochinesiterapia. Una vicenda che parte da lontano.
La casa di cura – che dal 1947 svolge l’attività di ricovero ospedaliero a ciclo continuativo per acuti, per quanto riguarda la Chirurgia generale, l’Ortopedia e Traumatologia – si trova in via Mazzini. Un antico stabile che, cambiate leggi e regolamenti, presenta una serie di problemi sia all’interno sia all’esterno. Risale, infatti, già al 2007 un progetto preliminare di adeguamento ai requisiti strutturali e impiantistici, che prevedeva, tra l’altro, la riduzione da 60 a 56 posti letto. Si va avanti, per diversi anni, con proroghe provvisorie, sempre in attesa di un adeguamento. Nel frattempo, però, la struttura ottiene anche altre competenze, come per esempio «l’accreditamento provvisorio anche per l’attività specialistica della Diagnostica per immagini in regime ambulatoriale e le relative attività di ricovero».
Tutto fino al 2009, quando la Commissione tecnica dell’allora Asl 2 riscontra l’assenza di diversi requisiti: l’assenza di aree destinate a parcheggio, per esempio. Ma l’elenco è lunghissimo: «l’ingresso non è arretrato rispetto al filo stradale in modo da offrire una sufficiente sicurezza all’accesso; presenza di un solo elevatore senza alcuna differenza tra trasporto ammalati, visitatori, personale, materiale sporco-pulito, derrate alimentari; non tutte le stanze garantiscono una superficie di 9 metri quadri procapite; i bagni riservati a persone diversamente abili sono insufficienti. Diciotto le contestazioni. Si va avanti così tra nuovi progetti e proroghe, finchè nell’aprile del 2012 la Regione Basilicata comunica «l’avvio del procedimento finalizzato al diniego del rinnovo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività». Senza contare che, nel frattempo, i Nas di Potenza avevano riscontrato un’altra anomalia: «al 5° piano della struttura sanitaria c’era una stanza di 18/20 mq., dove veniva (abusivamente) esercitata l’attività ambulatoriale di fisiochinesiterapia».
Un atto impugnato dai vertici della Casa di cura che, infatti, ricorrono al Tar della Basilicata. E il Tar lucano accoglie il ricorso della Casa di cura, «condannando le amministrazioni intimate – Regione Basilicata e Asp – alla rifusione, ciascuna per la metà, delle spese di lite in favore della ricorrente».
Una sentenza ribaltata ora dal Consiglio di Stato. «Il rilievo di siffatte carenze strutturali – si legge – non più “sanate” né coperte dalla deliberazione della G.R. n. 767/2000 ed accertate nel corso della lunga e complessa istruttoria svolta dall’amministrazione, costituisce ragione grave, da sola sufficiente a giustificare la legittimità dei provvedimenti contestati in primo grado, sicché l’appello proposto dalla Regione, per quanto concerne gli ulteriori profili di criticità riscontrati dalla Commissione e ritenuti, invece, insussistenti dal primo giudice, è improcedibile per difetto di interesse».
Un brutto colpo per la clinica che, circa un anno fa, annunciava nuove assunzioni e nuovi investimenti.
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