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POTENZA – Gli stipendi dei direttori generali delle aziende sanitarie lucane devono restare ancorati ai tagli decisi dal governo nel 2008. Senza rivalutazioni di sorta che ne finirebbero per vanificare gli effetti sulle finanze pubbliche.
E’ quanto ha ribadito la Sezione di controllo della Corte dei conti di Potenza rispondendo a una richiesta a riguardo presentata ad aprile dal presidente della Regione Marcello Pittella.
Per il collegio presieduto da Rosario Scalia, Giuseppe Teti relatore e Vanessa Pinto referendario, restano valide le prescrizioni del decreto Tremonti. Tanto più se si pensa di superarle in forza di una normativa regionale antecedente, come ipotizzato da via Anzio.
L’idea era di applicare un meccanismo di rivalutazione dei compensi attualmente riconosciuti ai dg delle 4 aziende sanitarie lucane: 139mila euro lordi all’anno per quelli di Asm, Asp e San Carlo; e 136 per il loro omologo del Crob. Al netto dei premi di risultato fissati in un massimo del 20% del compenso base.
Per fare un confronto, si tratta di somme che non superano quelle riconosciute all’ultimo dei consiglieri regionali senza nemmeno un incarico di segretario di commissione.
Mentre in Regione, dove i direttori generali di base guadagnano meno, un meccanismo del genere c’è e fa lievitare i loro compensi in maniera notevole.
Ma se per questi ultimi Tremonti decise di non intervenire, sui direttori generali delle aziende sanitarie è stato molto chiaro. Arrivando a minacciare il ripristino totale o parziale per 3 anni dei ticket per le visite specialistiche, appena aboliti, alle regioni che avessero voluto rinviare i tagli.
In Basilicata il decreto del governo era arrivato meno di due anni dopo l’introduzione una legge regionale ad hoc del sistema di rivalutazione dei compensi dei dg delle aziende sanitarie regionali, in base a degli indici come quello dell’Istat sui prezzi al consumo. E’ stato adottato senza battere ciglio, ma nel 2012 non è passata inosservata una sentenza del Tribunale di Roma che ha giudicato «cedevole rispetto all’esercizio della potestà legislativa regionale» un vecchio decreto del presidente del Consiglio dei ministri in materia. Di qui la richiesta di un parere, per capire se è possibile far rivivere quella legge regionale sulla rivalutazione dei compensi.
«Quanto alla possibilità, che sembra trapelare dalla richiesta di parere, che tale meccanismo possa ancora oggi applicarsi alle retribuzioni dei direttori generali – scrivono i giudici della Sezione di controllo – si osserva che la disposizione di legge statale non sembra neppure prendere in considerazione l’ipotesi che lo spazio deliberativo riservato al legislatore regionale possa spingersi fino a produrre meccanismi di indicizzazione che finirebbero per aumentare la spesa per importi ben superiori a quella in corso al 30 giugno 2008 (data di entrata in vigore del decreto Tremonti, ndr), che invece si vuole congelare o ridurre».
«Del resto – proseguono – sarebbe confliggente con gli intendimenti del legislatore statale, manifestati attraverso una disposizione chiaramente espressione di un principio di coordinamento della finanza pubblica, che rappresenta il limite che il legislatore regionale, introdurre in sede locale una disposizione che possa portare a vanificare la finalità primaria».
«Nel caso in esame, poi, – insistono – è il caso di rilevare che la norma di principio (statale) è successiva a quella di fonte regionale, di guisa che quest’ultima non potrebbe sopravvivere se contrastante, nelle finalità e nella disciplina, con la norma di principio che assurgerebbe a norma regolatrice della materia».
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