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ANCHE nella piccola Basilicata è levata di scudi contro il piano straordinario occupazionale dei precari della scuola – risoprannominato di fatto “esodo forzato” – che rischia di infliggere un altro duro colpo alla regione delle partenze con biglietto di solo andata. Piano che non è piaciuto ai sindacati e soprattutto ai diretti interessati. I numeri lo dicono chiaramente: su 2.500 precari lucani degli istituti di ogni ordine e grado interessati al piano, solo 1207 (quindi meno della metà) hanno presentato la domanda per il posto a tempo indeterminato, ma con la possibilità di essere spediti in chissà quali parti d’Italia. Per assurdo, sono soprattutto i precari storici, quelli che ormai da anni combattono con futuro di incertezze e un presente di stenti, ad aver rinunciato all’occasione del posto fisso. «Il fatto è che – spiega la segretaria della Uil scuola, Vitina Galasso – con questo provvedimento e in generale con la riforma “la buona scuola”, Renzi non ha tenuto conto della dignità del mondo degli insegnamento fatto soprattutto da mamme che dolorosamente hanno dovuto scegliere tra famiglia e lavoro». Molte di queste, soprattutto quelle con un’età superiore ai 40 anni, hanno scelto di non presentare la domanda. Una decisione tutt’altro che facile. «Ho raccolto il dolore di tante colleghe chiamate a decidere in dieci giorni su qualcosa che rappresenta uno stravolgimento delle proprie vite e alle prese con il dilemma sul cosa fare», dice Patrizia Delle Noci. E’ anche lei nel sindacato ma soprattutto è una precaria (da ben 15 anni), la prima in graduatoria, che però ha rinunciato all’occasione di stabilizzazione. Per prima cosa, ci tiene a sfatare un mito: «Noi precari ai sacrifici e ai chilometri siamo ben abituati. In questi anni ho girato la Basilicata in lungo e in largo e non sono stata neanche la più sfortunata. Non si tratta solo quindi di non voler lasciare il posto dove abbiamo costruito con fatica. Ma le informazioni che abbiamo ricevuto sono così vaghe, che è impossibile regolarsi in poco tempo. Alla fine ho scelto di non presentare la domanda. Sarebbe stato come immettersi sull’ennesimo cammino fatto di moltissime incertezze e solitudine. Non me la sono sentita. E come me, tante altre, la gran parte delle precarie lucane».
Anche per chi ha fatto la scelta opposta, non è stato affatto facile e, soprattutto, le critiche restano. Come nel caso di Maria Rosaria D’Anzi, anche lei precaria della scuola, da otto anni, e coordinatrice dei precari Flc Cgil. Che però non rinuncia alle amare considerazioni: «Analogamente a quanto sta avvenendo in tutto il mondo del lavoro, anche per la scuola il Governo non ha voluto confrontarsi con le forze sindacali e culturali del paese. Da anni i docenti precari attendevano una stabilizzazione lavorativa; purtroppo però il piano di assunzioni previsto dalla legge “Buona scuola” si sta rivelando un notevole errore da tutti i punti di vista. Nei giorni scorsi sono stati migliaia i docenti chiamati a una scelta non semplice: rinunciare a un contratto a tempo indeterminato oppure rischiare di lasciare la propria regione, con le immaginabili conseguenze sul piano personale».
Per D’Anzi, l’ascolto da parte del Miur dei sindacati di categoria avrebbe certamente consentito di apportare alla legge le necessarie correzioni e di affrontare con la dovuta attenzione una questione tanto delicata che investe i singoli e le loro famiglie. «La mobilità delle persone infatti non può essere coatta ma deve essere libera e volontaria». Auspica una ripresa, da parte del Governo, del confronto con il mondo sindacale. Anche per far fronte a quel sentimento diffuso di sfiducia e di rinuncia che negli ultimi anni si è radicato nella scuola. «Oggi – dice da sindacalista – invece dobbiamo ritrovare la consapevolezza e la necessità di costruire un forte movimento di lavoratori capace di conquistare una occupazione vera, non precaria».
«Siamo stati penalizzati per ben due volte», commenta Giovanna Santarsiero, 38 anni, precaria da 15, che ha presentato domanda e che ora aspetta di conoscere la sua destinazione. Da quando, a gennaio scorso, è rimasta senza incarico di supplenza, offre il suo contributo gratuito alla categoria della Cisl. Sulla scelta di rischiare di essere spedita in una regione del Nord commenta: «Cos’altro avrei potuto fare? Non si sa nulla rispetto a cosa ne sarà di coloro che non lo hanno fatto. Da anni giro da istituto a istituto, da supplenza, in supplenza, anche per sole 9 ore alla settimana. C’è chi è stato costretto a fare un doppio lavoro per tirare avanti. Ho fatto enormi sacrifici in nome dell’attaccamento alla mia terra. Oggi no ho altra scelta. Qualunque sia la destinazione, dovrò accettare, perché chi non lo fa viene depennato dalla graduatoria a esaurimento. E la possibilità di un concorso in Basilicata è veramente remota. Non sono sposata e non ho figlio, ma qui ho una casa e un mutuo. E’ stata una scelta complicatissima ma alla fine non avevo altre possibilità. Mi chiedo: se tutti i precari lucani avessero accettato, che cosa ne sarebbe stato di questa già desolata regione?».
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