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NEPPURE Spillo, il cane, riesce a far male alle lucertole. Gli scappano, forse volutamente, ricordandosi che c’è sempre una seconda opportunità per tutti. Come quella che fu data a lui, malaticcio, spellato, con appena la forza di saltare il recinto della grande casa di Bernalda dove lo hanno accolto, curato, adottato.

E’ la bellezza che espelle il male, cura l’animo e fortifica il corpo. La migliore delle terapie. Con questa filosofia in cima a Bernalda, nella vecchia masseria Mecca di contrada Scorzone, cresce di giorno in giorno l’accoglienza per i meno fortunati, ragazzi con disabilità che qui si giocano una grande opportunità di vita in comune, ma anche uomini e donne che devono resistere agli incubi della fine dell’esistenza terrena. Malati di Alzheimer, anziani non autosufficienti. Per chi ci crede un passaggio assistito verso la vita eterna, per chi è disperato nei suoi dubbi un aiuto a trascorre il tempo in maniera dignitosa, se non proprio felice. La vita ha un senso, fino all’ultimo respiro.

Con padre Angelo Cipollone faccio il giro dei lunghissimi viali, fino al grande Cristo di ferro con le braccia aperte, con i capelli sciolti e lunghi che si confondono con le rughe. Lì vicino una pietra funge da altare, davanti a una piccola cappella dove si arriva attraversando una lunga strada con la siepe di rigogliosa lavanda in fiore. Su questo pezzo di roccia, padre Angelo, colto e visionario,ha fatto scolpire un “Io sono” che ognuno può continuare a proseguire, immaginando di riempire i suoi vuoti.

E’ la seconda grande casa di accoglienza che hanno i padri trinitari in Basilicata, dopo quella di Venosa. L’accreditamento per la convenzione sanitaria è in corso.

Nel frattempo l’investimento è stato enorme, oltre 20miioni di euro. Padre Angelo, abbruzzese testardo, questa casa l’ha sognata e voluta. Il suo Ordine gli ha dato fiducia. Dieci anni ci sono voluti a trasformare antichi granai e mangiatoie in una grande città dell’assistenza che si estende su 4o ettari, aggiungendone altri quattro arrivi all’estensione della Città del Vaticano.

Eccessivo, ambizioso, oltre i limiti? “È la bellezza che aiuta a curare, qui non ci sono malati da tenere chiusi, ma persone che vogliono essere sollecitate per riconquistare spazi perduti e fare festa ogni giorno per i risultati ottenuti”. E mi porta al laboratorio che mi ricorda quello di Venosa, ancora più grande.

Decine di ragazzi mi vengono incontro, allungano la mano ridendo, qualcuno in carrozzina, altri avvolti nel loro mondo ma mai persi. Lavorano alle ceramiche, confezionano vasi bellissimi, e soprattutto compongono intarsi e mosaici e formelle. I decori della bellissima cappella dei silos sono anche opera loro. Ma tutta la chiesa è un’opera d’arte imperdibile. Di tassello in tassello gli ospiti della casa hanno poi decorato tutto, muretti, pareti, tavolini. Una splendente manifattura della creatività innestata sull’ispirazione religiosa. Due giorni fa è finita la lunga colonia estiva dei ragazzi ospiti della casa di Venosa. Sono tornati nel Vulture. Del resto l’idea iniziale che portó i padri Trinitari di Venosa a Bernalda era quella di individuare un luogo per una colonia estiva a Metaponto. Padre Angelo vide la masseria. Sognó subito quello che poteva diventare. Il proprietario non voleva vendere. Dopo qualche giorno fu lui a telefonare a Venosa.

Il centro ha una capacità di accoglienza ancora non a regime. Vi lavorano già una cinquantina di persone, tra terapisti, medici, e poi tutti il personale che serve per mandare avanti la struttura, dai giardinieri, alle pulizie, alla cucina. Nella palestra della riabilitazione non ci sono camici bianchi, divise. Chi è curato e chi cura si confondono, perché la prossimità aiuta, dà fiducia, livella il disagio.

Sotto i lunghi porticati della città costruita a cerchio rispettando la planimetria della vecchia masseria attorno a una piazza vastissima si ritrovano gli ospiti accolti dai Trinitari, i volontari spingono le carrozzelle, la disabilità non impedisce di divertirsi e anche di innamorarsi, la vita è divertente se la sera si balla, si suona, ci si parla, si guarda l’orizzonte piatto di una vasta campagna. La sofferenza è guardata con ottimismo, chi ne è colpito continua ad avere credito e, anzi, ha un’attenzione privilegiata. E per i più fortunati, per tutti noi “normali” afflitti da tristezza più o meno cronica, una passeggiata in cima al Cristo dello Jonio non potrà che ricomporre qualche crepa.

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