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POTENZA – Lo aveva chiesto subito il figlio, quando ha iniziato a parlare con la polizia: «Vi dico tutto, ma portate mio padre in un altro carcere, lontano da qui». Solo che gli inquirenti non gli hanno dato troppo peso. Almeno fino a venerdì, quando sono intervenuti gli agenti della polizia penitenziaria e per «ragioni di sicurezza», nonostante le proteste del diretto interessato, lo hanno accompagnato in quel di Lanciano.
E’ in Abruzzo dallo scorso fine settimana Dorino Stefanutti (55), ex boxeur e noto pluripregiudicato di Potenza, detenuto dal 2013 per l’omicidio di Donato Abbruzzese.
A disporre il suo trasferimento dall’istituto penitenziario di Melfi è stata la Direzione distrettuale antimafia di Potenza, dopo le accuse lanciate dal figlio che da novembre ha iniziato a collaborare con i pm.
Secondo i magistrati la convivenza nello stesso posto del boss dello storico gruppo egemone sugli affari criminali del capoluogo, e di quanti di recente sono finiti nelle rivelazioni di Natale (32), avrebbe potuto alimentare tensioni incontrollabili. Di qui la decisione di allontanarlo dal carcere di massima sicurezza della cittadina federiciana, dove sono reclusi praticamente tutti i protagonisti degli ultimi processi alla mala lucana, più un cospicuo numero di «esponenti» delle più potenti ‘ndrine calabresi, definitivi o ancora in attesa di giudizio.
Tra le accuse più pesanti consegnate da Natale Stefanutti agli agenti della Squadra mobile di Potenza ci sono proprio i rapporti tra il clan Martorano-Stefanutti e il crimine organizzato d’oltrepollino. In particolare alcune “famiglie” del crotonese come i Grande Aracri e i Manfredi, capaci di infiltrarsi nell’economia e imporre il loro dominio in Calabria come in Emilia Romagna, in Veneto, in Lombardia e persino in Germania. Figurarsi nella vicina Basilicata.
«Il clan Martorano-Stefanutti esiste ancora, come è sempre esistito». Così comincia uno degli stralci con le accuse di Natale Stefanutti trascritte nell’ordinanza di arresti per il potentino Donato Lorusso (42), considerato il «reggente» del gruppo da quando il padre è finito in carcere.
Il figlio del boss ha spiegato di essere «mosso dall’intenzione di affrancarsi dal passato criminale del padre e dai contesti illeciti da lui gestiti».
Poi ha elencato i nomi dei componenti del clan, a cominciare dal «compare di cresima» Lorusso, che nell’ultimo periodo avrebbe iniziato a «pavoneggiarsi, nel senso di sostenere di essere lui al comando, che tutti devono fare riferimento a lui».
Stefanutti ha “offerto” agli investigatori, guidati dal procuratore Luigi Gay e dall’aggiunto Francesco Basentini, un manoscritto lungo 42 pagine dove ha raccolto tutto quello che sa sugli affari del padre, più «un documento che contiene la formula di giuramento per poter essere affiliati al clan, con indicate tutte le famiglie (…) dal 2007 al 2014». Dove per clan si intende la temutissima ‘ndrina crotonese che negli ultimi tempi avrebbe preso gli amici “potentini” sotto la sua ala protettiva.
Poi come promesso l’ha consegnato, in copia, dopo essere entrato a casa di Lorusso e aver scattato alcune istantanee col telefonino approfittando della sua assenza anche ad «alcuni fotogrammi riproducenti momenti conviviali tra Lorusso e il noto Ernesto Grande Aracri»: fratello di Nicolino alias “mano di gomma”, e arrestato a gennaio dall’antimafia di Bologna nell’ambito di un’indagine sugli affari della potente ‘ndrina di Cutro in Emilia Romagna.
«Tale Salvatore, genero di Grande Aracri, è venuto di recente a Potenza». Ha aggiunto Stefanutti. «Prendendo contatti con Donato Lorusso, che lo ha accompagnato pure nelle zone di Foggia per incontrare delle persone del nord da cui avrebbe dovuto ricevere del denaro per conto del suocero».
Dopo l’ultimo blitz della Dda bolognese, i rapporti si sarebbero congelati, perché dalle indagini erano emersi «contatti con un soggetto detto “il cinese”». Rimasto ancora da identificare. Fatto sta che da allora Lorusso sarebbe stato «sconsigliato» di farsi vedere in Calabria, dove sarebbe stato “di casa” da un «tale Gentile, cognato di Pasquale Manfredi» (alias “scarface”), considerato tra i massimi esponenti della ‘ndrina Nicosia-Manfredi di Isola Capo Rizzuto, sempre nel crotonese, e molto vicina ai Grande Aracri .
Proprio Manfredi, che è accusato anche di alcuni omicidi eclatanti come quello del boss rivale Carmine Arena (trucidato da un colpo di bazooka nel 2004 nonostante l’auto blindata), sarebbe stato l’autore del documento con «i riti, le cariche e l’organigramma delle ‘ndrine di Calabria» fotografato a casa di Lorusso. E stando a quanto riferito dal giovane Stefanutti sarebbe stato detenuto nel carcere di Melfi assieme al padre.
Di qui la richiesta che fosse allontanato di lì, raccolta dagli inquirenti non appena è stato tolto il segreto istruttorio sulla prima parte delle sue dichiarazioni.

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