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POTENZA – Innanzitutto droga ed estorsioni, ma anche videopoker e aiutini giudiziari: i padrini calabresi sarebbero stati in grado di pilotare le sentenze della Corte di cassazione, e avrebbero garantito il loro intervento persino sui processi degli “amici” lucani.

Quello dei magistrati compiacenti e del business del gioco d’azzardo online è un altro dei capitoli “scottanti” delle rivelazioni di Natale Stefanutti ai pm della Dda di Potenza. Un capitolo in cui macchinette mangiasoldi e toghe sporche tornano a mischiarsi, dopo le inchieste dell’antimafia di Catanzaro e Milano, che anni fa avevano messo a fuoco proprio un intreccio simile.

Il figlio 32enne di Dorino Stefanutti (55), ex boxeur potentino già condannato per associazione mafiosa e a 24 anni di reclusione (in primo grado) per l’omicidio di Donato Abbruzzese, ha iniziato a parlare con gli investigatori a novembre dell’anno scorso.

Da allora ha riempito pagine e pagine di verbali, e una decina di giorni fa è finito sotto protezione come testimone di giustizia.

Subito dopo l’arresto per estorsione aggravata dal metodo mafioso del principale bersaglio delle sue accuse: Donato Lorusso, 42enne incensurato, che da qualche tempo avrebbe preso il posto del padre (detenuto) alla guida dello storico clan potentino Martorano-Stefanutti.

Il giovane Stefanutti ha citato diverse imprese che pagano il pizzo, inclusa quella che gestisce l’appaltone da 28milioni di euro per le pulizie all’ospedale San Carlo di Potenza.

Per questo a marzo, quando il titolare della ditta che si è aggiudicata lo smaltimento dei rifiuti speciali delle Asl lucane ha denunciato le richieste di Lorusso, i pm hanno chiuso il cerchio. Un riscontro migliore alle sue dichiarazioni non potevano trovarlo. Ma resta ancora da capire se sia credibile anche sul resto.

Per esempio quando afferma che Lorusso gestirebbe «dei totem per conto di Mimmo Bellocco». Dove «totem» sta per dei terminali collegati alla rete per il gioco online. E «Mimmo Bellocco» per il suo socio occulto.

Con un cognome che rimanda, da un lato, a una delle ‘ndrine più potenti della Piana di Gioia Tauro. Peraltro vicina ad alcuni degli storici “amici” del clan Martorano come i Pesce. E dall’altro a una vicenda rimbalzata dalle cronache calabresi alle principali testate nazionali, con l’arresto, la condanna e il suicidio di un magistrato accusato di favori ai clan in cambio di mazzette. Come quando avrebbe fatto scarcerare alcuni Bellocco del clan di Rosarno in cambio di una mazzetta di 120mila euro. O avrebbe passato informazioni riservate al giovane rampollo di una famiglia reggina in odore di ‘ndrangheta, attivissimo nel settore dei videopoker, in cambio di vacanze e festini hard con giovani escort.

E’ questo quello a cui si riferisce Stefanutti quando parla di “agganci” in Cassazione? Giudici corrotti messi a disposizione dai padrini calabresi del clan per aggiustare la situazione del padre?

Per provare le accuse contro la toga “amica” dei Bellocco ci sono voluti 3 anni, e non era nemmeno un magistrato di Corte d’appello. Figurarsi che significa addentrarsi nelle stanze del “palazzaccio”.

Le verifiche sulle dichiarazioni del giovane Stefanutti sono affidate agli agenti della divisione anticrimine della Questura di Potenza, coordinati dal procuratore Luigi Gay e dall’aggiunto Francesco Basentini.

Lorusso è stato il primo dei nomi pronunciati dal 32enne potentino raggiunto da un’ordinanza di misure cautelari (arresti domiciliari, ndr) da quando sono state aperte le indagini sul “nuovo corso” del clan Martorano. Ma nelle carte a sostegno delle sue accuse sono tanti quelli menzionati, in parte ancora coperti da omissis, per questo nei prossimi mesi non è escluso che ci siano altri sviluppi.

A inchiodarlo sarebbe stata in particolare la registrazione di uno dei suoi incontri, a marzo nei locali dell’ospedale San Carlo di Potenza, con i vertici della ditta che gestisce lo smaltimento dei rifiuti speciali della Asl lucane, ai quali avrebbe chiesto una mazzetta da 10mila euro presentandosi «come un soggetto accreditato presso organizzazioni criminali calabresi, in rapporto con un clan mafioso del territorio potentino».

«Non è che ti dico sopra a due lavori me li devi pagare tutti e due!» Sono le frasi che gli vengono attribuite, trascritte negli atti dell’inchiesta. «Né tan poco una cosa che mi devi, che mi devi dare il… l’elemosina! Perché se mi devi dare l’elemosina non serve! Attenzione! Perché sennò poi, cioé, il paletto lo metto io diversamente! Capiscimi che io… So che siete (…) So, io so tutto perché io non é che faccio una cosa così! (…) Capiscimi che ti sto dicendo! (…) E penso che tu mò sai che ti sto dicendo».

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