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POTENZA – «Dal 2000 al 2013 il Sud è cresciuto del 13%; la metà della Grecia che ha segnato un +24%». Fin qui il dato. Poi tocca attivare la riflessione. Perché lo scenario emerso nel rapporto Svimez sul Mezzogiorno è devastante.

Praticamente uno sviluppo che si ferma a «oltre 40 punti percentuali in meno della media delle regioni Convergenza dell’Europa a 28 (+53,6%)». Nello stesso periodo, l’intero Paese ha segnato il dato record negativo: la nazione con meno crescita dell’area euro con il +20,6% a fronte di una media del 37,3%.

Il rapporto diffuso ieri raccoglie i principali dati di andamento economico, disaggregati per il Mezzogiorno e il Centro-Nord, appuntamento tradizionale col rapporto Svimez 2015 sull’economia del Mezzogiorno. La fotografia è quella di una questione meridionale irrisolta. «Un Paese diviso e diseguale, dove il Sud è alla deriva e scivola sempre più nell’arretramento: nel 2014 per il settimo anno consecutivo il pil del Mezzogiorno è ancora negativo (-1,3%)».

Dal 2007 il prodotto in quest’area si è ridotto del -13%, quasi il doppio della flessione registrata nel Centro-Nord (-7,4%).

«La crisi lascia quindi un Paese ancor più diviso del passato e sempre più diseguale».

Anche al Nord i comportamenti sono difformi a seconda dell’area e delle condizioni di contesto, ma il dato generale dice che il Settentrione aggancia lentamente la ripresa. Il Sud non collassa solo perché il calo demografico riesce a bilanciare la negatività del dato di sviluppo economico.

Gli effetti negativi della crisi sulla produttività sono ormai «strutturali». Con un fermo immagine indicativo: «La distanza del Mezzogiorno dal resto dell’Italia – si legge nel rapporto – ha ripreso ad allargarsi: nel 2014 è tornata ai livelli di inizio secolo».
Una delle conseguenze immediate ha toccato la spesa dei consumi delle famiglie (nel Meridione sono diminuiti dal 2008 di oltre 13 punti percentuali, a differenza di una contrazione tarata sul 5,5% nel resto del Paese). A Sud si è contratta soprattutto la spesa alimentare, «un dato che più di tutti evidenzia il diffondersi di condizioni di povertà relativa».

Nel 2014 il calo dei consumi alimentari è stato nel Mezzogiorno del -0,3%, contro un aumento del 1,0% al Centro-Nord.

Restringendo la lente sul territorio regionale, la Basilicata si posiziona a metà dell’area negativa. Il miglioramento in crescita c’è, ma il dato complessivo resta comunque negativo (la regione passa a -0,7% dopo il -2,6%).

Se, però, si esamina il dato cumulato dei sette anni di crisi, dal 2008 al 2014, la riduzione del pil risulta per quasi tutte le regioni meridionali di entità assai forte (si va da oltre il -22% in Molise, al 16,3% in Basilicata, a un minimo del -12% in Puglia e Sardegna e del -11,4% in Calabria).

Né sarà solo la spesa pubblica il motore di rilancio, anche se proprio la componente pubblica è stata quella più dinamica più dinamica dei consumi interni (aumentata nel Centro-Nord dello 0,7%, ferma a Sud). Tra i settori produttivi non stupisce che la performance peggiore (e più preoccupante) sia dell’industria.

La terziarizzazione della produzione industriale non ha trovato preparato il Mezzogiorno. Drammatico anche il dato sulla popolazione: la «fuga» dei giovani sembra avere un unico itinerario di viaggio.

La ripartenza, suggeriscono dall’istituto di ricerca, potrebbe trovare linfa nei fondi strutturali. Peccato, però, che l’attuazione dei programmi sia in forte ritardo.

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