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PREMESSO CHE
– “La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio” e che “il matrimonio è ordinato sull’eguaglianza morale e giuridica dei coniugi” (art.29 della Costituzione)
– la Costituzione parla di coniugi senza specificarne il sesso
– l’interpretazione in senso strettamente giuridico della parola “matrimonio” creerebbe una contraddizione in termini di non poco conto (come potrebbe infatti la famiglia naturale – cioé spontanea e prestatuale – fondarsi su un’istituzione giuridica artificiale come il matrimonio?)
– il matrimonio giuridicamente inteso è una delle forme che la famiglia può assumere segue dalla prima
(quella storicamente determinata all’epoca dell’Assemblea Costituente) ma non l’unica possibile
– l’espressione “società naturale” fu voluta da Palmiro Togliatti e avversata dai cattolici proprio perché essa lasciava ampi spazi interpretativi
– numerose disposizioni costituzionali in tema di famiglia rinviano alla legge
– la legge cambia nel tempo e nella legge il concetto di famiglia è stato adeguato ai mutamenti storici e sociali, tant’è che non si parla più di “famiglia” ma di “famiglie”

Considerato che
– non si può continuare a governare tra ideologie e approssimazioni
anche la sottoscritta intende presentare una mozione, confidando nel fatto che almeno Franco Mollica, così generoso di firme, la sottoscriverà.
Ci vorrebbe un po’ più di serietà e di riflessione in Consiglio Regionale, perché la sensazione è che i più non leggano quello che firmano e, peggio ancora, non conoscano quello di cui parlano. La mozione Pace è, infatti, un mero favoleggiare, perché parte da premesse artificiosamente imbastite e continua su considerazioni che appaiono frutto di totale ignoranza (nel senso etimologico del termine). Il Consigliere, infatti, prende atto dell’esistenza di una cosa che non esiste (“preso atto dell’esistenza della teoria del gender”) e continua argomentando con una serie madornale di balordaggini (“la teoria del gender afferma, infatti, che le differenze biologiche tra maschio e femmina hanno poca importanza… vuole come imposizione dall’alto che tutti noi, compresi i bambini, non diciamo più io sono maschio o io sono femmina ma io sono come mi sento”).

Persino un aforisma di Simone de Beauvoir (filosofa, saggista e scrittrice) viene affastellato per dare credibilità all’incredibile. Eppure sarebbe bastata almeno un’occhiata all’enciclopedia per apprendere che il cosiddetto gender non esiste se non nella distorsione fattane a mero scopo ideologico da chi, in nome della difesa della famiglia e di una morale religiosa, mira sostanzialmente a disconoscere i diritti di una parte della società, solleticando le paure e prospettando alle mamme ansiose un gender cattivo che mangerà i loro Cappuccetto Rosso senza cacciatore alcuno che li possa salvare. Favole, insomma!

Ciò che esiste sono gli studi di genere, studi scientifici che semplicemente, al di là delle specificità biologiche dell’essere maschio o femmina, prendono in considerazione i cambiamenti dei ruoli di genere in rapporto alla variazione dei tempi e delle società. Nel nostro Consiglio Regionale si raccontano le favole e fantasiosamente si arricchiscono ad arte anche le notizie date alla stampa, perché ancora ieri il Consigliere Spada in un’intervista parlava in sintesi di discriminazione a danno dei più a causa delle corsie lavorative preferenziali che sarebbero state richieste per le persone LGBTQI; il riferimento esplicito era alla mozione Polese nella quale di tale richiesta non c’è assolutamente traccia. Vale a dire che pur di intorbidire le acque, pur di mantenere uno status quo anacronistico e discriminatorio, si fa colpevolmente leva sulle ansie e sulla non conoscenza (“le famiglie ordinariamente non hanno nemmeno idea di cosa sia questa teoria del gender” si legge nella mozione), forti della propria autoriconosciuta “normalità”. Ma il gender non esiste, si tranquillizzi Aurelio Pace con tutti i valorosi sottoscrittori della sua mozione; continuino pure serenamente a dire “io sono maschio” o “io sono femmina” senza che nessuno glielo impedisca “dall’alto”; per quanto riguarda me e, suppongo, molti altri cittadini, è preferibile dire “come mi sento”, perché c’è da sentirsi presi in giro, c’è da sentirsi offesi, c’è da sentirsi impauriti e sconcertati di fronte a tanta approssimazione e a così pervicace volontà discriminatoria. Io voglio dire come mi sento: né maschio, né femmina. Diversa da loro.

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