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POTENZA – Livio Valvano non ha commesso nessuna turbativa, né ha mai chiesto favori «di carattere personale». In altri termini, a suo carico non c’è nulla di «penalmente rilevante» quanto a queste accuse. A meno che – per assurdo – non si voglia introdurre un obbligo per le amministrazioni di spendere di più, e caricarsi il groppone di penali, escludendo l’assistenza ai bisognosi dai «compiti istituzionali» di un primo cittadino.
Il processo è appena iniziato ma le parole della Corte di cassazione sanno tanto di assoluzione anticipata per il sindaco di Melfi, coinvolto a gennaio nell’inchiesta su appalti, varianti e presunti abusi di potere nel Comune federiciano.
Ieri in serata sono state pubblicate le motivazioni della decisione con cui a giugno i magistrati di piazza Cavour hanno accolto il ricorso di Valvano contro la sentenza del Tribunale del Riesame di Potenza, che lo aveva sì rimesso in libertà, ma gli aveva precluso la possibilità di un riconoscimento dell’ingiusta detenzione subita.
La Cassazione ha smontato l’accusa di turbativa per la variante da 350mila euro sull’appalto delle case popolari di contrada Bicocca concessa alla ditta dei Caprarella, il padre Emilio e il figlio Antonio, quest’ultimo anche ex consigliere comunale, e già finiti entrambi nel mirino dell’antimafia per i loro rapporti col clan Di Muro.
«Si contesta al sindaco una presunta attività illecita che, in realtà, è successiva alla scelta del contraente». Evidenziano gli ermellini, dato che l’appalto da 1milione e 800mila euro era stato assegnato dall’amministrazione precedente.
In particolare, secondo la procura di Potenza l’illecito sarebbe consistito nell’accordo tra il Comune e i Caprarella per mantenere la variante al di sotto della soglia del 20%, che permetteva un affidamento diretto ai titolari dell’appalto “madre” senza indire una nuova gara. Variante che si era resa necessaria per i ben noti “buchi” nel bando originario per la costruzione delle case popolari. Ma per la Cassazione «tale peculiarità della incompletezza e della preventivata necessità di integrazione (del bando, ndr) non trovava affatto ragione in una volontà fraudolenta, per avere un modo per scegliere l’assegnatario. Il progetto era nato incompleto per valutazioni attinenti ai soldi disponibili per l’esecuzione di quei lavori».
Una scelta: «certamente discutibile, ma non in sede penale».
D’altronde: «il carattere voluto o non voluto di tali “errori” ed “omissioni” non interessa certamente il sindaco, subentrato successivamente». Insistono i magistrati, che poi criticano l’impostazione dell’ “accusa” (il virgolettato è loro, ndr) «quasi che possa esservi un obbligo di maggior spesa al fine, più che di favorire una abusiva scelta del contraente, di danneggiare il contraente che ha già vinto la gara».
Mentre la legge sugli appalti «a parte la comune logica» singe «per il contenimento della spesa e la salvezza dell’appalto», come dimostra «l’esistenza di penali che vanno a vantaggio del contraente originario nel caso in cui si renda necessaria la nuova gara».
«L’unico intervento concreto da parte del sindaco, di cui si apprende nel corso delle intercettazioni poste a fondamento della ipotesi di accusa, è consistito nella richiesta di far rientrare nella spesa anche la costruzione di due ascensori».
Proseguono. «Senza ulteriori indicazioni, oltre al risultato, normalmente ritenuto encomiabile, di un risparmio di spesa, dallo stesso provvedimento impugnato non sembra in dubbio che tale richiesta fosse connessa a serie esigenze di abitanti degli alloggi».
Quanto invece all’ipotesi di induzione indebita per l’assunzione alle dipendenze dei Caprarella di una donna “segnalata” da Valvano, i giudici della Suprema corte scrivono che «non risulta individuato, innanzitutto, l’abuso delle funzioni pubbliche – che non è conseguenza automatica di una qualsiasi richiesta proveniente da un pubblico ufficiale – e l’ottenimento di una indebita prestazione che il privato dovrebbe essere stato indotto a concedere in ragione, appunto, di una pressione quantomeno psicologica».
«Peraltro, anche in questo caso – e concludono, ndr – leggendo le risposte date dal Tribunale sul punto, non sembra posto in dubbio che non si trattasse di un favore di carattere personale ma di una richiesta collegata all’esercizio, ancorché informale, di compiti istituzionali di assistenza».
Oltre che per la vicenda della variante sulle case popolari di contrada Bicocca, e l’assunzione nella ditta dei Caprarella, Valvano è accusato anche di abuso d’ufficio per alcuni lavori di somma urgenza affidati ex post ancora ai Caprarella. Infine turbata libertà del procedimento di scelta del contraente per un appaltino «lecca lecca» (parole dell’ex vicesindaco Rinaldo Di Ciommo, ndr) assegnato alla ditta del cognato di un consigliere comunale, Antonio Sassone, che avrebbe minacciato di non votare il bilancio del Comune.
Il processo per i 25 imputati coinvolti nell’inchiesta, inclusi tutti i membri della vecchia giunta (tranne l’ex assessore Rosa Masi), 2 dirigenti del Comune, imprenditori, un consigliere comunale e l’ex sindaco Alfonso Salvatore, riprenderà il 12 novembre davanti al gup di Potenza.
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