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POTENZA – Angelo Narcisi non è il figlio di Giovanni Venneri, il noto imprenditore potentino, morto nel 1996, fondatore della storica utensileria di via della Fisica.
Lo ha stabilito lunedì la Corte d’appello di Potenza presieduta da Ettore Nesti (consiglieri a latere Rocco Pavese e Cataldo Carmine Collazzo).
I giudici hanno rovesciato la sentenza di primo grado, che aveva riconosciuto il rapporto di paternità tra i due. Mettendo fine a una causa che va avanti da quasi vent’anni.
Alla base della decisione c’è la perizia genetica disposta agli inizi del 2014, quando è stato riesumato il corpo dell’imprenditore per effettuare un confronto diretto tra il suo Dna e quello del sedicente figlio.
L’esito degli accertamenti condotti da alcuni esperti di genetica forense ha escluso categoricamente la possibilità che Venneri fosse il padre di Narcisi, nato a Potenza nel 1958 ed emigrato in Olanda a 19 anni. Precisando anche quanto affermato in precedenza dai periti incaricati dal Tribunale, che avevano potuto confrontare soltanto un campione di saliva di Narcisi e delle figlie naturali di Venneri. Per le ovvie resistenze di quest’ultime e della vedova dell’imprenditore all’apertura della bara.
All’epoca, infatti, i risultati avevano evidenziato un’elevato grado di compatibilità, superiore al 99%. Di qui la sentenza appena riformata in Corte d’appello.
Ma per gli esperti incaricati dai giudici di secondo grado, dietro quel dato genetico non ci sarebbe stato nient’altro che il caso. O al massimo una parentela sconosciuta tra Venneri e il suo vero padre.
Su chi fosse realmente questi nemmeno loro sono stati in grado di esprimersi. Se un fratello, un fratellastro o un lontano cugino dell’imprenditore, piuttosto che un avventore del suo vecchio bar di fronte alla caserma di Santa Maria, a Potenza, dove per un periodo avrebbe lavorato la madre di Narcisi.
Spetterà quindi a lui decidere se proseguire nella sua ricerca. Dopo aver rinunciato a comparire nell’udienza di precisazione delle conclusioni, proprio a seguito del deposito dell’ultima relazione sul Dna.
A giugno dell’anno scorso, in occasione della riesumazione del corpo, Narcisi aveva indetto anche una conferenza stampa, accompagnato dalla moglie olandese e dalla figlia, oltre che dal suo avvocato, per spiegare in pubblico il motivo per cui era deciso a ottenere l’accertamento di paternità.
«Io ormai sono un uomo realizzato, non ho pretese economiche. Voglio solo la certezza legale di quanto ho raccontato in tutti questi anni». Queste erano state le parole del bambino cresciuto in orfanotrofio, che oggi gestisce una ditta di import-export con l’Italia.
Quanto al suo rapporto con Venneri aveva spiegato di averlo conosciuto proprio in orfanotrofio dove l’imprenditore sarebbe andato a trovarlo periodicamente, e di aver continuato a scrivergli e a telefonargli anche dalla sua nuova casa a Den Haag, in Olanda.
Il nome di Narcisi era già salito alle cronache cittadine diversi anni fa, quando aveva mostrato un certo interesse all’ acquistola squadra di calcio del Potenza. Anche se alla fine non se ne fece nulla per via di una situazione debitoria piuttosto consistente.
Ieri mattina l’avvocato Francesco Laviani, che ha assistito per tutto questo tempo la vedova e le figlie di Venneri, ha inviato anche al Quotidiano una formale richiesta di «indispensabili rettifiche» rispetto a quanto scritto sulla conferenza stampa di Narcisi.
«La Corte d’appello – spiega il legale – dopo aver acquisito le necessarie indagini genetiche definitivamente pronunziando ha accolto l’appello proposto dalla vedova e dalle figlie del compianto professor Giovanni Venneri, dichiarando che Narcisi non è affatto figlio naturale di esso professor Venneri».
L’avvocato Laviani ha allegato alla mail anche copia della prima e dell’ultima pagina della sentenza.
L’azienda fondata da Giovanni Venneri nel 1975 è tra le realtà più importanti della regione nella commercializzazione di «utensileria professionale di alta qualità, macchine utensili, trasmissioni, articoli tecnici industriali, ferramenta e materiale antincendio con la relativa assistenza». Così dichiara sul suo nuovo portale di vendite on-line. Con «un capitale sociale interamente versato di 900mila euro», e una struttura operativa di 3mila metri quadri nella zona industriale di Potenza.
Negli anni ‘80 è stata tra le prime aziende del settore nel sud Italia ad automatizzare il magazzino, e oggi può contare su 14 dipendenti e una rete di venditori che agiscono in tutta la Basilicata, ma anche nell’alto cosentino e nella bassa Campania.
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