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MELFI – Oltre al danno, la beffa. E’ l’amara conclusione nella complicata storia Fenice Ambiente, la società che ora ha annunciato la mobilità per sei dei 52 lavoratori del termovalorizzatore di Melfi. Lo fanno sapere le sigle di categoria, dopo l’incontro che si è tenuto lunedì scorso in Confindustria, in cui si sperava in un passo indietro da parte della società che gestisce l’impianto, ma che si è chiuso con un nulla di fatto. Con motivazione che – secondo i sindacati – «sono pretestuose».
Le cose, nello stabilimento di San Nicola, non vanno bene ormai da tempo. Non solo rispetto alle ben note questioni ambientali, ancora oggi non risolte, ma anche per quelle che attengono la situazione occupazionale. Già da tempo i lavoratori della ex Fenice hanno subito una riduzione salariale attraverso la disdetta unilaterale dell’azienda dell’ accordo integrativo di gruppo. Secondo quanto riferiscono Fiom, Uilm, Fim, Fismic e Ugl in una nota congiunta, i lavoratori hanno già fatto un anno di cassa integrazione straordinaria e sempre da un anno l’azienda non avrebbe applicato ai lavoratori i minimi contrattuali previsti dal Ccnl nazionale.
Nello stesso arco di tempo, Fenice avrebbe avviato unilateralmente una riduzione di personale sulle squadre di lavoro, «mettendo a forte rischio la sicurezza dei lavoratori e dell’impianto con i relativi rischi ambientali».
Insomma, secondo i sindacati, la società non ha fatto altro che «scaricare sui lavoratori tutte l’incapacità di gestire un impianto con un processo industriale complesso». Del resto, è ben noto che l’azienda, che nel frattempo ha cambiato anche nome – non più Fenice ma Rendina Ambiente, senza però che sia mutata la composizione societaria – non gode di buoni rapporti con le istituzioni e il territorio.
Alla questione della bonifica ancora tutt’altra che risolta, si è aggiunto anche il contenzioso con la Regione (risoltosi in Consiglio di Stato a favore di quest’ultima) che ha disposto la chiusura di uno dei due forni dopo l’emessione di fumo rosso in atmosfera di cui non si conoscono ancora origine e natura. Solo che – accusano ora le sigle di Cgil, Cisl e Uil – «invece di dare risposte concrete al fine di ottenere le autorizzazioni ambientali, adeguare gli impianti per un regolare funzionamento nel rispetto delle norme di sicurezza e ambientali, vuole ridurre i costi esclusivamente attraverso la riduzione del personale».
I sindacati chiedono quindi l’immediata revoca delle procedure di mobilità avviate per sei unità, e alle istituzioni locali di avviare subito un confronto per trovare soluzioni positive alla vertenza. Certo, non sarà un dato privo di significato il fatto che la mobilità sia stata attivata proprio dopo la sentenza del Consiglio di Stato che conferma la chiusura del forno rotante che brucia rifiuti speciali, disposto dalle Regione. In attesa di risposte, sindacati e lavoratori sono passati alla mobilitazione: a San Nicola di Melfi presto sarà sciopero.
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