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POTENZA – Promettevano ai migranti di regolarizzare la loro presenza in Italia, millantando potenti agganci in Prefettura. Avviavano le pratiche per l’emersione dei lavoratori “clandestini” e si facevano pagare in contanti o con ricariche Postepay. Solo che a distanza di qualche mese le pratiche venivano regolarmente respinte perché il lavoro era fasullo e l’imprenditore di turno o era morto o del tutto inconsapevole della cosa.
Sono accusati di associazione a delinquere, truffa, millantato credito, sostituzione di persona e «favoreggiamento della permanenza in Italia di cittadini extracomunitari per trarre ingiusto profitto dalla loro condizione di illegalità»: Renato Lucio Fiorello (62enne di Baragiano), la sia factotum Filomena Mazzone (39enne di Viggiano); Maria Teresa Vitali (52enne di Brescia) e Syed Yasir Abbas, detto Sayd (pakistano 35enne residente sempre in provincia di Brescia).
Ieri mattina i militari della sezione di polizia giudiziaria dei carabinieri di Potenza hanno notificato al primo un’ordinanza di arresti domicialiari del gip del capoluogo. Mentre per gli altri sono stati disposti l’obbligo di dimora e di presentazione in caserma.
L’inchiesta della procura potentina era partita a marzo del 2013 ed è il prosieguo di un’altra già conclusa per falso e truffa a carico di Fiorello e di un’altro dei suoi soci di Lecco.
I quattro operavano tra Calabria, Campania, Lombardia e Basilicata prendendo di mira sempre loro: immigrati irregolari disposti a tutto per restare in Italia. Nel 2010 erano perlopiù indiani, ma in seguito i militari si sono accorti che esistevano denunce anche da parte di diversi pachistani, attratti, come sempre, dalla promessa di ricevere un regolare permesso di soggiorno. E pronti a pagare per averlo.
Peccato che le pratiche, spacciate per risolutive, indicavano datori di lavoro fittizi. Così l’ignaro acquirente usciva sì,di fatto, dalla clandestinità, grazie alla ricevuta telematica di deposito della documentazione. Ma non appena veniva fuori l’inghippo tornavano al punto di partenza. Per di più col portafogli alleggerito.
La legge infatti consente l’“ingresso” in Italia come lavoratore dipendente solo per chi ha già un’offerta di impiego – reale – sul territorio. E deve essere l’aspirante datore di lavoro a chiedere il nulla osta a uno degli sportelli per l’immigrazione, dove vengono verificati il possesso dei requisiti richiesti, l’esistenza di espulsioni o condanne penali a carico del lavoratore, e la disponibilità di posto nell’ambito della quota prevista dal decreto sui flussi di extracomunitari. Quindi in caso positivo viene rilasciato il nulla osta.
Invece l’attestato di avvenuto avvio della pratica, che veniva consegnato da Fiorello ai suoi “clienti”, consente la permanenza in Italia soltanto fino alla definizione del procedimento amministrativo.
La centrale dei traffici di speranze sarebbe stata proprio a Baragiano, dove confluivano gli immigrati agganciati in giro per l’Italia.
Come si diceva, già nel 2010 gli investigatori avevano acceso un faro sugli affari di Fiorello, denunciato per aver chiesto e ottenuto 10.500 euro in cambio 7 nulla osta fasulli dello sportello unico dell’immigrazione di Potenza.
l.amato@luedi.it
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