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POTENZA – Dovranno comparire a Roma l’11 giugno i legali del primo cittadino di Melfi Livio Valvano (Psi) e dell’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune Bernardino D’Amelio.
Lo ha stabilito la Corte di cassazione fissando l’udienza sul ricorso presentanto dalla Procura contro le decisioni del Riesame di Potenza che agli inizi di febbraio aveva revocato il divieto di dimora in città per il sindaco, e sostituendo i domiciliari per D’Amelio con la sospensione temporanea dai pubblici uffici.
Intanto il pm Francesco Basentini ha già avanzato la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di politici, amministratori e imprenditori coinvolti nell’inchiesta su su gare truccate e abusi di potere nella cittadina federiciana. Per questo a breve potrebbe aprirsi anche l’udienza preliminare.
Valvano ha sempre respinto gli addebiti nei suoi confronti, ma anche i giudici del tribunale della Libertà avevano espresso seri dubbi sulla sua condotta. Salvo consentirgli di tornare in carica perché “dissuaso” dai 10 giorni trascorsi agli arresti.
«Appare difficile», scriveva il collegio presieduto da Gerardina Romaniello (consiglieri Natalia Catena e Vincenza Cozzolino), che il sindaco «ignorasse il concreto ruolo» dell’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune, Bernardino D’Amelio.
Le indagini condotte dagli agenti della squadra mobile di Potenza, a detta dello stesso Riesame, avrebbero mostrato la «sistematica violazione di plurime regole di condotta» e l’assegnazione di «lavori pubblici di ogni genere» ad «appannaggio esclusivo» di D’Amelio, «al quale gli imprenditori a lui meno vicini si rivolgevano umilmente chiedendo di poter “lavorare”».
E il sindaco – sempre secondo i giudici di libertà – avrebbe saputo del «sistematico affidamento dei lavori ai Caprarella»: l’ex consigliere comunale Antonio e il padre Emilio. Entrambi nel mirino dell’antimafia potentina per i loro rapporti col clan Di Muro. «Del resto – annotano i magistrati – Valvano chiede a costoro», attraverso D’Amelio, l’assunzione di una persona bisognosa che gli aveva chiesto aiuto, «nella consapevolezza che non possono rifiutarsi di farlo».
Diverso il discorso sulle esigenze cautelari che al collegio sono apparse «mutate» in maniera determinante.
Infatti i 10 giorni trascorsi agli arresti domiciliari avrebbero avuto «plurimi effetti deterrenti» per il primo cittadino: un soggetto «incensurato sul quale certamente il concreto verificarsi di conseguenze negative per le condotte poste in essere può aver sortito un efficace effetto dissuasivo».
Il Riesame non ha creduto alla difesa di Valvano che ha «comprensibilmente rappresentato come l’operato del proprio assistito sarebbe non solo improntato alla massima buona fede, ma anche volto alla tutela di fasce deboli e, dunque, espressione di una gestione da “buon padre di famiglia” della amministrazione». Aggiungendo che le motivazioni di quanto compiuto potrebbero valere soltanto per la «dosimetria della pena» alla fine del processo se mai sarà.
Quanto alla variante da quasi 400mila sul progetto delle case popolari di contrada Bicocca, affidata a una ditta dei Caprarella, che nel 2009 si era aggiudicata anche l’appalto, i giudici spiegano che sarebbe servita una nuova gara.
Solo «la falsa perizia di variante – parole loro – predisposta da D’Amelio con Caccamo (Gerardo, ragionere “factotum” dei Caprarella» avrebbe permesso di mantenere il valore dei lavori sotto la soglia del 20% di quello dell’appalto principale, e di procedere con un affidamento diretto. E di questo il primo cittadino sarebbe stato perfettamente consapevole, dalla lettura delle «plurime affermazioni di D’Amelio (registrate dalle microspie piazzate nel suo ufficio, ndr) che rassicura in più occasioni sindaco e appaltatrice che “tutto” sia sotto tale limite».
l.amato@luedi.it
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