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QUELLA delle sorgenti in contrada La Rossa è una storia che inizia nel luglio del 2013, quando il proprietario del podere informò l’Eni della questione chiedendo accertamenti circa lo stato delle acque nella sua proprietà.
Pur essendo un luogo distante dalle installazioni Eni, – circa 2,3 chilometri – la società petrolifera qualche settimana dopo fece un sopralluogo prelevando, alla presenza del proprietario, campioni di acqua e di terreno. Da quelle analisi emerse «con chiarezza – recitava il comunicato dell’Eni – che non esiste alcuna relazione tra lo stato della sorgente e le attività di re-iniezione nel pozzo Costa Molina 2». Seguirono a stretto giro anche dei controlli dell’Arpab che nel settembre successivo confermò la bontà delle analisi Eni sostenendo l’impecettibilità della presenza di idrocarburi nelle acque.
La questione diventò di rilevanza pubblica quando le analisi furono eseguite dalla docente dell’ateneo lucano Albina Colella che sostenevano l’esatto contrario e cioè che si trattava di acque di scarto petrolifero.
Ne nacque un botta e risposta con l’azienda aspro che ha avuto come risultato all’inizio del 2015 la denuncia presentata da Eni nei confronti della professoressa Colella per «procurato allarme».
Nel frattempo si muove anche la procura di Potenza che formalmente apre un fascicolo sulla questione.
Si arriva così alla conferenza stampa di ieri con la presentazione dello studio di Bacci che ribalta le conclusioni a cui era arrivata la docente dell’ateneo lucano.
Contattata telefonicamente la professoressa si limita a sottolineare che in situazioni come queste: «l’aspetto idrogeologico è importante per avere delle certezze».
Considerato che c’è un contenzioso aperto con l’azienda, la professoressa ritiene di avere degli elementi importanti da esporre, ovviamente, nelle sedi opportune.
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