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POTENZA – Una prova «logico giuridica». Prodotta dalla somma del «concatenarsi degli eventi accertati» e di quanto emerso dalle testimonianze rese in aula.
E’ questo il nocciolo delle motivazioni per cui la Corte d’appello di Potenza ha condannato il senatore Salvatore Margiotta (Pd) per corruzione a un anno e sei mesi di reclusione. Nell’ambito del processo stralcio su appalti e mazzette all’ombra delle trivelle nella Valle del Sauro. Lì dove insiste la concessione di estrazione di petrolio e gas di Total, destinata a entrare in produzione nel 2016.
La sentenza è stata depositata soltanto una settimana fa, e i legali del parlamentare lucano sono già al lavoro sul ricorso in Cassazione. Un terzo grado dall’esito tutt’altro che scontato, dato che gli stessi elementi – al netto delle ultime deposizioni – erano stati già vagliati da altri 4 magistrati. Quelli del Riesame, che agli inizi del 2009 avevano annullato l’ordinanza di arresti domiciliari per l’allora deputato. E il gup che a maggio del 2011 lo aveva assolto «per non aver commesso il fatto».
I giudici del collegio presieduto da Vincenzo Autera (Francesco Verdoliva relatore e Pasquale Materi consigliere) hanno riassunto le loro ragioni in 75 pagine. Incluse le note difensive presentate dai legali del parlamentare, in cui quest’ultimo nega di aver incontrato i vertici di Total a Roma, il 15 dicembre del 2007. In occasione del concerto di Natale organizzato per amici e dipendenti della società. Perché era impegnato in aula a Montecitorio. Come pure contatti con l’allora presidente della Regione Vito De Filippo, oggi sottosegretario alla Salute del Governo Renzi: già indagato e “archiviato” nell’ambito della stessa inchiesta. Per convincerlo a tornare sull’«inversione di tendenza» avuta nei confronti delle ditte locali guidate da Francesco Ferrara, un noto imprenditore di Policoro. Non appena saputo che era finito nel mirino del pm Henry John Woodcock.
I giudici della Corte d’appello sono stati di avviso molto diverso. Specie dopo aver sentito in aula la confidente di Ferrara, Elena Zippo, che il 21 dicembre del 2007 aveva raccolto lo sfogo dell’amico sull’«affaire Total».
«Dall’esame delle stesse e da quanto dichiarato in dibattimento dalla teste si può agevolmente ritenere che Ferrara ebbe a promettere la somma di 200mila euro a Margiotta e che lo stesso abbia accettato la promessa». Scrivono i magistrati.
«Tale certezza si ricava non solo dal documentato incontro tra il Margiotta e il Ferrara avvenuto in data 16 novembre 2007 ma anche dalla lettura delle affermazioni che Ferrara fece nel corso della conversazione con la Zippo ed, infine, dall’analisi attenta del comportamento tenuto da Ferrara dopo l’incontro con Margiotta».
Seduta al banco dei testimoni la Zippo avrebbe affermato in un primo momento «di non conoscere e non aver sentito parlare e di aver visto per la prima volta a Porta a Porta l’onorevole Margiotta». Ma i giudici annotano a piè pagina che «la teste sposta di circa un anno la sua conoscenza della questione, nell’intercettazione ambientale dimostra non solo di conoscere i fatti, ma anche i meccanismi che sovrintendono all’appalto»
E aggiungono che «incalzata» dalle loro domande avrebbe finito «per ammettere di aver sentito il Ferrara pronunciare il nome “Salvato’” e di aver sentito della promessa di denaro fatta ed accettata da costui».
Solo che quel “Salvato’” non sarebbe stato Margiotta ma «un tale Salvatore di Roma». Stando a quanto riferitole da Ferrara tempo dopo.
«La poca linearità della deposizione del teste – commentano i giudici – la circostanza che la medesima metta in chiaro-scuro il proprio rapporto con Ferrara, rapporto emergente dell’intercettazione ambientale come più che familiare, mette in evidenza che la stessa non può essere credibile nel corso delle dichiarazioni testimoniali e che i suoi tentativi di svicolare sull’identificazione di Margiotta appaiono più che maldestri».
Laddove Ferrara che non sapeva delle microspie nell’appartamento in cui si trovava: «rende una chiara e precisa esposizione della vicenda e racconta alla Zippo che, peraltro non è all’oscuro della materia degli appalti, lo “stato dell’arte in ordine all’appalto di Tempa rossa” illustrando le mosse intraprese per ottenerlo, ivi compresa la promessa di denaro formulata a Margiotta».
Insomma non sarebbe lecito «dubitare della genuinità della conversazione intercorsa tra Ferrara e Zippo, avuto riguardo alla peculiarità del loro rapporto personale riferito dalla stessa Zippo a questa Corte (…) Basterebbe al riguardo osservare che secondo il racconto dello stesso Ferrara articolato nella suddetta conversazione il “Salvatore” dopo la promessa dei 200mila euro gli proponeva di partecipare il giorno dopo a un incontro con i vertici della Total a cui egli stesso non poteva prendere parte». E sarebbe «evidente che solo Salvatore Margiotta era al corrente di tale evento».
I magistrati dedicano molto spazio anche all’incontro a Potenza tra Ferrara e Margiotta «documentalmente svoltosi il 16 dicembre 2007». Incontro propiziato da un vecchio amico democristiano di entrambi, Donato Bochicchio, che di fronte alla Corte ha detto «di non conoscere quanto i due si fossero detti».
I giudici sottolineano che «dall’analisi delle dichiarazioni rese al dibattimento dal Bochicchio giova osservare che il giorno 16 dicembre 200 era una domenica, vi era una nevicata in atto (…) e la presunta libreria innanzi alle cui vetrine Bochicchio, a suo dire si sarebbe trattenuto nel corso della conversazione (…) era chiusa».
«Ed invero dall’esame testimoniale-perito nominato per la trascrizione, testi escussi e dalle stesse dichiarazioni spontanee rese da Margiotta (…) si può evincere con logicità che non lascia dubbio che Margiotta stesso non solo abbia accettato la promessa corruttiva da Ferrara ma abbia anche posto in essere comportamenti idonei a che “l’affaire” andasse a buon fine mediante la sostituzione della buste (…) Sul punto nulla rilevando che Margiotta abbia sostenuto di non aver partecipato al concerto romano organizzato dalla Total in data 15 dicembre 2007, in quanto dalla documentazione prodotta non si ricava nel modo più assoluto che lo stesso sia stato impegnato nei lavori parlamentari, atteso che dal verbale della Camera dei deputati non si evince che si è proseguito in seduta notturna».
«Il concatenarsi delle date in cui si collocano gli eventi (16 dicembre 2007 incontro documentato tra Ferrara e Margiotta) le affannose ricerche di quest’ultimo fino a tale data – documentate in atti e successive al diniego di “assistenza politica” da parte di De Filippo e soprattutto il silenzio sull’argomento nei giorni 17 e 18 dicembre fanno ritenere con assoluta certezza che nel corso dell’incontro Margiotta abbia accettato la somma di cui poi successivamente Ferrara parla alla Zippo e si sia adoperato fattivamente a che l’appalto del progetto Total fosse assegnato».
«Che solo in data 16 Ferrara si sia tranquillizzato sul buon esito dell’affare è enucleabile altresì dall’assenza di conversazioni sul punto nei giorni 17 e 18 dicembre sia in ambientale (auto) sia telefoniche del Ferrara con i propri soci, ai quali invece in data successiva al 18 dimostra e rappresenta la certezza della conclusione dell’accordo corruttivo e il conseguente via libera al già stipulato accordo per la sostituzione delle buste avvenuto con i vertici di Total, ma non ancora operativo in data 16 dicembre 2007 a causa dell’assenza dell’assenso di un responsabile politico dell’operazione – garanzia richiesta dalla Total e prima assicurata da De Filippo e successivamente da Margiotta».
Un ragionamento deduttivo.
«Non a caso Ferrara il 15 dicembre 2007 dopo aver appreso che De Filippo si era, per così dire, defilato perché aveva saputo di indagini in corso, si mette alla ricerca disperata di Margiotta, e pur avendone i recapiti – in quanto lo conosceva da anni e vi erano già stati contatti di affari tra loro – chiede a Bochicchio di insistere per un incontro».
Ecco allora perchè la Corte conclude che «non è seriamente revocabile in dubbio che Margiotta nel corso dell’incontro con Ferrara e Bochicchio (…) abbia accettato la proposta corruttiva del citato Ferrara di consegnargli 200mila euro come corrispettivo del suo interessamento e del suo appoggio per l’aggiudicazione in favore di Ferrara dell’appalto Total».
Perché alla Zippo Ferrara aveva detto «esplicitamente di aver saputo da “Salvatore” che questi aveva incontrato a Roma i vertici della Total che “avevano fatto una cosa in teatro e lo avevano invitato”».
«Per converso il coinvolgimento di “Salvatore Di Roma”, personaggio dell’ultima ora, risulterebbe del tutto decontestualizzato ed incongruente apparendo incomprensibile come, perché e a quale titolo un altro imprenditore – completamente estraneo alla vicenda dell’appalto Total – sarebbe stato destinatario di 200mila euro e, inoltre, come mai sarebbe stato perfettamente al corrente delle iniziative dei vertici della compagnia nonché perfino in grado di fornire a Ferrara un prezioso suggerimento sulla strategia da adottare con essi».
Un’«ulteriore prova» emergerebbe dal tenore della conversazione intercorsa con un suo socio «il 14 gennaio 2008 (giorno dell’aggiudicazione provisoria) avente a oggetto proprio l’opportunità di informare Margiotta che “è tutto a posto” e dai tabulati acquisiti i quali dimostrano che i rapporti telefonici tra Ferrara e Margiotta sono proseguiti anche nei mesi successivi ai fatti in discussione».
«Si deve inoltre osservare – secondo la Corte d’appello di Potenza – che il 19 dicembre 2007 l’amministratore delegato della Total Levha giungerà in Basilicata e incontrerà Tornetta (Ignazio, ex sindaco di Gorgoglione, ndr) al quale il giorno prima Ferrara aveva raccomandato di ricordare alla Total di rispettare gli accordi orginari (…) Trattasi per l’appunto dell’esecuzione del consiglio-disposizione impartito da Margiotta a Ferrara (nel corso del colloquio del 16 dicembre 2007) quando lo ha esortato a incontrare i vertici di Total, cosa che egli poteva fare».
Per questo «appare verosimile quanto riferito da Ferrara circa la effettiva partecipazione di Margiotta a tale concerto nel corso del quale quest’ultimo avrebbe avuto contatti con i dirigenti della Total». Checché lui ne dica. Come sarebbe dimostrato «dalla presenza dello stesso nell’elenco degli invitati. Fatto non smentito dalla circostanza dedotta della partecipazione ai lavori della Camera i quali come da verbale esibito dalla difesa dell’imputato, sono terminati alle ore 21.30, circostanza questa che – certamente non gli ha consentito di rientrare a Potenza, nonostante le insistenze di Bochicchio – ma che non gli impediva di partecipare all’evento organizzato dalla Total in Roma, ove aveva ulteriori interessi da tutelare, anche soltanto al fine di dare una risposta a Ferrara con il quale già sapeva di avere un appuntamento per il giorno successivo».
Dopo inversione di tendenza di De Filippo «occorreva pertanto porre immediato rimedio a siffatta contingenza che rischiava di destabilizzare quanto fino ad allora fatto al fine di favorire Ferrara al cui consistente interesse economico ad aggiudicarsi il più lucroso degli appalti indetti dalla Total faceva da contraltare quello della stessa Total propensa a tale risultato in forza, a sua volta, di un altrettanto consistente interesse economico essendosi Ferrara impegnato, in cambio dell’aggiudicazione dell’appalto, ad acquistare dalla Total lubrificanti e carburanti per tutti i suoi mezzi operativi per la durata di 5 anni con un profitto per la Total stimato in 15 milioni di euro».
In più Total «nutriva l’ulteriore interesse che ad aggiudicarsi l’appalto fossero imprenditori del luogo in quanto ciò avrebbe sicuramente favorito la fluidità e la positività dei rapporti con tutti gli organi amministrativi territoriali dai quali sarebbe stato più agevole ottenere tutta la vasta congerie di provvedimenti necessari per la mastodontica operazione industriale relativa all’estrazione di petrolio».
Ecco allora perché «di conseguenza – e ciò in base alla concatenazione di tutti gli elementi innanzi illustrati» la Corte si è convinta che nel corso di quell’incontro Ferrara abbia formulato a Margiotta la proposta corruttiva e che quest’ultimo l’abbia accettata». «Soprattutto» per le «plateali mistificazioni poste in essere da Bochicchio nel corso del suo esame».
«Egli ha cercato ostinatamente – quanto effimeramente per quanto di dirà di qui a un momento – di lasciar intendere di non aver partecipato a detto incontro e di non averne percepito il contenuto».
«Il 16 dicembre 2007 era domenica, alle ore 16.30 la città era quasi deserta, era in atto una nevicata, la temperatura esterna era rigida e, per di più sia Ferrara e Bochicchio erano costipati. Dunque la logica induce a ritenere che, avuto riguardo alle peculiari circostanze oggettive e soggettive, un incontro all’aperto non potesse non essere clandestino e dissimulare una causa illecita. Se così non fosse stato un deputato della Repubblica non avrebbe mai accettato di incontrare in quelle condizioni precarie e disagevoli una persona raccomandatagli da un amico e in presenza di quest’ultimo. E invece Margiotta per lo svolgimento di tale incontro non ha scelto di meglio – per sè e per i suoi amici in precario stato di salute – che una strada desolata, esposta al freddo e alla neve, pur potendo utilizzare il proprio studio localizzato poco distante, ove, oltre tutto, sarebbe stato al riparo – per l’immunità parlamentare – da eventuali intercettazioni ambientali. E’ evidente che egli pretese la garanzia di non essere nemmeno visto in compagnia di Ferrara. Ma l’operazione di polizia che prevedeva l’osservazione non era stata interrotta dai militari operanti nonostante la tormenta di neve».
«Margiotta – sostengono i magistrati – ha maldestramente spiegato la scelta infelice del luogo dell’incontro con l’intento di “salvaguardare” l’intimità della sua famiglia, riunita a pranzo che, a suo dire sarebbe stata violata da un eventuale arrivo di Ferrara e Bochicchio nonché, non senza contraddizione con la prima ragione, con l’intento di liquidare sbrigativamente i due ospiti la cui partita domestica gli avrebbe impedito di seguire le partite di calcio in tv».
Ma si tratterebbe «di argomentazioni speciose».
«Margiotta non poteva, di certo, ritenersi costretto ad accettare l’incontro con Ferrara». Quindi «in presenza di una libera scelta, non essendo stato Margiotta costretto o condizionato sfugge ad ogni spiegazione plausibile la scelta delle peculiari sue modalità, che viceversa, lasciano intendere la volontà di tutti i partecipanti di sottrarsi a un controllo diretto da parte di terze persone. Solo in siffatta ottica e, dunque, sul presupposto di una causa illecita dell’incontro, possono ragionevolmente spiegarsi le sue modalità volte, evidentemente, a contemperare da una parte l’antigiuridicità dell’accorsa, e dall’altra l’assoluta impermeabilità di esso a contaminazioni esterne».
«Non meno stucchevole – aggiungono i giudici – è risultata la versione fornita da Margiotta (…) riguardo al contenuto del colloquio con Ferrara. Egli infatti ha sostenuto che Ferrara si sia limitato a chiedergli di intercedere in suo favore presso De Filippo per rimediare all’ “inversione di tendenza” di quest’ultima». Nonostante «in virtù di tutto quanto innanzi esposto deve escludersi che Ferrara, dopo gli inequivoci segnali di “chiusura” manifestatigli da De Filippo e trapelati finanche dal suo ambiente istituzionale, puntasse ancora su di lui per la salvaguardia dell’accordo politico-economico, di guisa che sarebbe stato assurdo che egli dopo essersi faticosamente procurato l’accordo con Margiotta, lo avesse sfruttato al solo fine di chiedergli di “spezzare una lancia in suo favore” nei confronti del citato De Filippo».
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