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POTENZA – E’ rimasto agli arresti domiciliari per due mesi e mezzo. Poi il gip gli ha concesso l’obbligo di firma, e dalla scorsa settimana è di nuovo libero. Perciò potrà tornare a indossare il camice bianco.
Riprenderà il suo posto da cardiochirurgo al Policlinico di Bari Nicola Marraudino, ormai ex primario del San Carlo di Potenza.
Il Tribunale ha infatti accolto la richiesta presentata dai suoi legali, Francesco Auletta e Michele Laforgia, dopo le dimissioni dal suo incarico nel maggiore nosocomio lucano.
Marraudino, che è originario di Salandra, rientrerà nel reparto dov’è cresciuto a livello professionale, effettuando centinaia di interventi e arrivando, anche relativamente giovane (50 anni), all’incarico di vice-primario.
Due anni dopo era tornato nella “sua” Basilicata per dirigere la cardiochirurgia del San Carlo. Per questo era stato collocato in aspettativa dall’amministrazione dell’azienda ospedaliera del capoluogo pugliese.
La scelta delle dimissioni era arrivata alla fine di marzo dopo che la Cassazione aveva respinto il ricorso contro l’obbligo di firma disposto dal gip nei suoi confronti. Una misura mantenuta dal Tribunale nonostante il pm avesse già dato parere favorevole alla revoca. Così come la sospensione disposta dal San Carlo agli inizi di settembre, subito dopo l’esplosione del caso Presta. Con la diffusione online della “confessione” shock di uno dei medici presenti in sala operatoria: registrato di nascosto mentre ammetteva di aver lasciato «ammazzare» la paziente dai colleghi. E in particolare Marraudino.
Per l’ex primario il fatto di restare lontano dal reparto sarebbe stato una specie di condanna preventiva. Nonostante il processo nei confronti suoi e di due colleghi sia appena iniziato, e i tanti che avrebbero «ben ha capito che qualcosa di non chiaro si agita intorno a questa triste storia, così come già in passato per altre storie che hanno coinvolto la cardiochirurgia potentina».
Il riferimento – con ogni probabilità – era alle dimissioni del suo predecessore Sergio Caparrotti, maturate nel 2008 in un contesto per tanti aspetti simile. Quando un’altra lettera anonima, come quella che ha fatto partire le indagini sul caso Presta, aveva denunciato loschi traffici di valvole cardiache e morti sospette. Accuse che in seguito si sono rilevate infondate. Tant’è che nei mesi scorsi proprio Caparrotti si era esposto pubblicamente solidarizzando col suo successore da Avellino, dove oggi dirige il reparto di cardiochirurgia della Casa di cura Montevergine.
Il processo riprenderà il 30 aprile per sentire le testimonianze di altri medici del reparto su quanto accaduto il 28 maggio 2013.
L’accusa resta di omicidio colposo in concorso, perché «nonostante l’avvenuto decesso» della paziente, a causa della lesione di una vena durante l’apertura dello sterno e di un maldestro tentativo di ripararla, «l’intervento veniva continuato e portato a termine, con l’inutile e programmata sostituzione della valvola e il successivo trasferimento del paziente già morto in terapia intensiva».
Una messinscena – secondo il pm Annagloria Piccininni – necessaria per «alterare quanto realmente accaduto». Per questo Marraudino, che «sarebbe stato considerato direttamente responsabile dell’accaduto (…) anche in una prospettiva di eventuali richieste risarcitorie», è accusato anche di falso in atto pubblico.
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