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SENISE – Pericoloso per l’ambiente e per le acque della diga che si trova a meno di due chilometri di distanza, ma anche antieconomico. Restano alte le polemiche contro il mega impianto di trattamento dei rifiuti che si intende realizzare a Senise.
Il progetto, nei mesi passati, ha trovato le resistenze di una larga parte di cittadinanza. Si è costituito anche un comitato cittadino ad hoc per dire no a quello che viene considerato un vero e proprio scempio del territorio. E ora anche Noscorie Trisaia e Med No Triv hanno messo nero su bianco le motivazioni per le quali – ad avviso degli ambientalisti – non è conveniente, nè in termini di compatibilità ambientale, che economici. Le osservazioni sono state presentate in Regione, dove è stato attivato il procedimento di valutazione di impatto ambientale-Regione Basilicata.
Il progetto in oggetto proposto dalla Nep Italy è già stato oggetto di un finanziamento milionario da parte della Regione Basilicata, la società ha avviato di conseguenza le procedure di Via per poterlo realizzare. Sono 85.000 le tonnellate di rifiuti che l’impianto potrà trattare: la frazione solida urbana e da altri rifiuti secchi sarà trasformata in combustibile solido secondario, oltre alla valorizzazione dei rifiuti urbani non pericolosi provenienti da raccolta differenziata (compreso quelli di imballaggio oggetto di raccolta differenziata) e di rifiuti speciali non pericolosi, per un flusso da trattare di altre 15.000 tonnellate. Una quantità enorme per Noscorie e Med No Triv. Soprattutto se si tiene conto che le delicate attività dell’impianto verrebbero svolte a circa 1600 metri dal più grande invaso idropotabile d’Europa che da acqua per il potabile, agricoltura, allevamento e industria a due regioni e milioni di abitanti. E a circa un chilometro dal centro abitato. Ma i comitati ambientalisti, nelle proprie osservazioni, mettono in evidenza anche l’impianto, come gli altri previsti in Basilicata, nascono al di fuori di un piano regionale condiviso con tutti i comuni e i sindaci lucani da parte della Giunta.
«Questi impianti per questioni tecnico-logistiche – scrivono – porteranno ad aumentare i costi della Tarsu pagata dai cittadini, vanificheranno la differenziata e i costi che i comuni sostengono per realizzarla». Da qui ne deriva che l’impianto «è antieconomico» e «improponibile».
«L’impianto, altamente delocalizzato rispetto alla produzione dei principali comuni (stiamo parlando di volumi che vanno oltre il 50% della produzione della Basilicata), aumenterebbe nei costi ambientali e di smaltimento, la tassa rifiuti che pagano i cittadini». Così come aumenterebbero i passaggi logistici commerciali con relativo inquinamento, ecco perché inciderebbe sui costi della collettività. Tanto che a sconsigliarlo sarebbe anche l’Enea (l’ente nazionale energie alternative).
«La produzione di Css – si legge ancora nelle osservazioni – non serve alla collettività in quanto la differenziata va recuperata singolarmente a freddo e non messa insieme in base al potere calorifero per poi bruciarla . Incenerire la differenziata prodotta dall’utenza pubblica-privata fa aumentare i costi verso il cittadino : costi per differenziare e di smaltimento. A cui si aggiunge la perdita di benefici Conai ai Comuni per il recupero della materia a freddo. Ancora, costi in bolletta Cip 6 per gli inceneritori che producono energia, oltre a quelli ambientali e sanitari».
Per i comitati una buona differenziata raggiunge il 75 per cento, ma con la tecnologia e la buona organizzazione potrebbe andare anche oltre, consentendo così di superare il ricorso a discariche e inceneritori.
E concludono sottolineando che l’impianto non risulterebbe conveniente neanche all’esercente che dovrebbe puntare a recuperare la materia a freddo e non a ricompattarla per poi bruciarla, «perché rispecchia le esigenze dei comuni che difficilmente conferiranno la propria differenziata per farne del Css, anche perché i cittadini che fanno la differenziata saranno i primi a opporsi».
marlab
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