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L’ABBIGLIAMENTO oversize e le sneakers. Poi però, al posto di un pallone da basket, spunta una pistola ed è proprio quel bimbo in tenuta sportiva a maneggiarla. Sembra il fotogramma di un video made in Usa in cui il rapper racconta per immagini il quartiere in cui i più piccoli scimmiottano i grandi, quelli che nella vulgata “ce l’hanno fatta”, non importa facendo che tipo di traffici. Invece siamo a Melfi, non nel Queens. Non solo vedette e sentinelle, dunque, come a Scampia e nelle mille periferie d’Italia. Non solo baby-corrieri della droga. Quanti minori trascinati nelle “cose dei grandi”.
Siamo nel giugno 2013. È il giorno che precede l’arrivo dell’estate. In ballo c’è la cessione di qualcosa di “interessante”, è così che dialogano via sms le due controparti, una a Melfi l’altra a San Severo, credendo che chi capta quelle frasi non sappia si tratti di armi: interessante sì, ma non quanto gli impegni familiari per cui il futuro acquirente si vede costretto a rimandare l’incontro. Che onora il 25 giugno, in compagnia di un sodale “fidato”, annotano gli inquirenti nell’ordinanza. “I due cittadini melfitani” incontrano “i due indagati albanesi” ma “in una conversazione ambientale (…) si fa riferimento alla opportunità di non rimanere troppo a lungo fermi nel posto di incontro per aspettare i due pugliesi perché pericoloso per un controllo delle forze dell’ordine”. Accortezza che non basta, visto che un impianto di videosorveglianza installato dai carabinieri a Melfi riprende “i due pugliesi” di rientro da San Severo: alle telecamere non sfugge quel passaggio di sostanza stupefacente – triste dirlo ma è una realtà da fiction cui ci siamo quasi assuefatti – e, appunto, “una pistola semiautomatica (con ogni probabilità calibro 7.65 atteso che di tale calibro si parla in una successiva conversazione)” che l’uomo “metteva alla cintola del minore (il quale poi rientrava in casa per custodirla)”.
Si chiude così il cerchio apertosi due giorni prima, quando i due indagati di Melfi avevano scoperto che una pistola da loro sotterrata in contrada Toppo San Paolo era scomparsa. Non pensano che l’arma sia stata sottratta dai carabinieri, anzi individuano già i colpevoli nel giro dello spaccio; né si sa come e se quel presunto sgarro sia rientrato, ma quel che è certo, e i video lo confermano, è che è stata subito rimpiazzata, “evidentemente il bisogno che i due avevano di dotarsi di un’arma da fuoco era alquanto impellente”. E chi se ne importa se uno degli anelli della catena è un bimbo.
Se non fosse un’immagine del Sud del Sud – un Mezzogiorno di certo meno notiziabile del set naturale di “Gomorra” coi ragazzi in motorino che, da ultimo, sparano dallo scooter a Ponticelli – potrebbe essere un caso nazionale. Intanto è uno scatto che ti arriva come un pugno nello stomaco. È una cartolina al contrario: benvenuti nell’altra Basilicata, quella dove il sogno della Cultura lascia il posto all’incubo del crimine.
Pistola giocattolo? No grazie, ché qui non c’è niente da ridere. E infatti viene da piangere davanti a questo frame che racconta l’infanzia negata più di mille analisi sociologiche.

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