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METTI, un comune… ipotetico. Diciamo, un capoluogo di regione. Una comunità che abbia sempre avuto problemi con il trasporto urbano, e che in tempi di ristrettezze desiderasse ottimizzare le risorse.
Ipotizziamo che addirittura sia in stato di dissesto, condizione che impone di stringere la cinghia.
Poniamo che in queste condizioni il segmento più penalizzato e debole possa essere quello degli studenti.
Ipotizziamo che questo sfavorito comune sia in montagna, che d’inverno faccia freddo e che per gli studenti che non siano così fortunati da essere in possesso di una macchinina, l’unica alternativa all’autobus sia costituita dal marciare, pedibus calcantibus, verso la scuola.
Ipotizziamo anche che l’amministrazione comunale abbia il pallino per la tecnologia e desideri approcciare in modo nuovo la predisposizione di un piano di trasporti efficiente e funzionale.
Sono conscio di addentrarmi progressivamente nell’ambito della fantascienza, ma poniamo che in questa ipotetica comunità siano disponibili grandi messi di dati aperti, o per dirla all’italiana, di Open Data: in questo luogo la stragrande maggioranza delle organizzazioni territoriali, pubbliche e private, rendono disponibili dati non sensibili, forse anche apparentemente inutili, in formato aperto, mettendoli nel pubblico dominio.
In questa ottica, le singole scuole presenti sul territorio rendono disponibili a tutti la distribuzione dei propri iscritti sul territorio che derivano dalle iscrizioni, mentre le amministrazioni mettono a disposizione della collettività la localizzazione geografica degli istituti scolastici di loro competenza.
Cosa possiamo ottenere, noi comuni mortali, incrociando questi due gruppi di dati, banali ed apparentemente non correlati?
Semplice: le esigenze di spostamento degli studenti da casa a scuola e da scuola a casa.
Sapendo quanti sono, da dove partono e dove e quando devono arrivare sul luogo di studio, ed aggiungendo una manciata di dati aperti provenienti da fonti come OpenStreetMap, abbiamo in mano tutto quello che serve per costruire un modello di trasporto per gli strudenti che sia in grado di ottenere il massimo dell’efficienza con il minimo della percorrenza chilometrica.
Poniamo anche che nell’amministrazione non ci siano le competenze tecniche per costruire gli algortimi adeguati ad ottenere questo risultato, ma anche che nella città abbia sede una Università degli Studi che comprenda facoltà tecniche specifiche.
Ipotizziamo che l’amministrazione, anziché buttare soldi per un concorso per un Urban City Game del tutto inutile, proponga invece un contest in ambito universitario con in palio una o più borse di studio per dei lavori sull’ottimizzazione del trasporto scolastico… potremmo considerarla una amministrazione smart?
Ma, ahimè, mi sa che ho fatto troppe ipotesi: ho esaurito lo stack, e mi tocca rimettere i piedi per terra!
P.s. Se qualcuno dovesse ravvisare in qualche tratto analogie fra questo ipotetico comune e realtà esistenti, la/lo tranquillizzo: non è in errore.

dal blog www.i8zse.eu

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