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POTENZA – Si è presentato in stato confusionale al pronto soccorso di Melfi. Dicendo di accusare un forte dolore alla schiena. Ma i medici gli hanno trovato una costola rotta e una ferita «compatibile con un colpo di arma da fuoco al braccio».
E’ finita di fronte ai carabinieri la serata di Daniele Monticelli, 27enne, che giovedì notte ha detto di non ricordare nulla di quanto accaduto poche ore prima.
Gli investigatori della compagnia al comando del capitano Michelangelo Piscitelli hanno già esaminato i referti medici. E non avrebbero dubbi che a sparare sia stato qualcuno che si trovava di fronte a Monticelli. Nemmeno a grande distanza. Ma da parte della vittima non sono stati in grado di ottenere nessuna informazione utile. Per questo le indagini proseguono ad ampio raggio.
Monticelli era già salito alla ribalta delle cronache locali diverse volte. Anche se di recente sembrava aver preso una strada diversa. A partire dal lavoro.
A giugno del 2011 era finito in carcere assieme a Giuseppe Cacalano, che poco dopo ha iniziato a collaborare con la giustizia. Scelta condivisa col padre, Adriano Cacalano, vicinissimo al boss Massimo Cassotta, che con gli inquirenti ha parlato degli appalti del Comune di Melfi e dei rapporti con gli altri clan del potentino.
Per gli inquirenti della Dda di Potenza Monticelli e il giovane Cacalano erano diventati l’incubo di una serie di locali notturni della cittadina federiciana. Avrebbero estorto denaro a chi cercava di passare soltanto una serata tranquilla. Senza timore di sfoggiare la pistola infilata nei pantaloni. E poi pugni e schiaffi. Riuscendo a terrorizzare la vittima di turno al punto che non sarebbe nemmeno passata per l’ospedale. Di qui l’accusa di tentata estorsione, violenza privata e porto d’armi abusivo.
In precedenza, sempre Monticelli, si era fatto conoscere per le minacce alla ex compagna, che aveva appena deciso di troncare la loro relazione, più una serie di danneggiamenti alle proprietà del padre che gli erano costati dieci mesi di detenzione. Ma appena uscito dal carcere se l’era presa con il gestore di un circolo ricreativo di Melfi colpevole soltanto di non averlo lasciato entrare oltre l’orario di chiusura obbligatoria. Lo aveva colpito al petto con un coltello da cucina e in primo grado è stato condannato a un anno e mezzo di reclusione.
Giovedì è finita in maniera diversa ed è stato lui ad avere la peggio. Fermo restando che se il colpo fosse arrivato al torace la situazione sarebbe stata molto più grave.
Una banale lite da bar o qualcosa di più grave? Questo è quello che gli inquirenti stanno cercando di capire. Anche per prevenire eventuali tentativi di ritorsione.

l.amato@luedi.it

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