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SULLA SCELTA del deposito unico delle scorie nucleari il tempo è scaduto, ma dal Governo ancora tutto tace. Pochi giorni fa, infatti, sono scaduti i fatidici sessanta giorni entro i quali l’Ispra avrebbe dovuto esprimersi sulla Carta Nazionale delle Aree potenzialmente idonee. Un documento top secret consegnato dalla Sogin agli uffici ministeriali dell’Ispra. In quella lista, nonostante smentite e contro dichiarazioni, ci sarebbe di nuovo il nome di Scanzano, dove ha sede l’impianto dell’Itrec ancora in fase di bonifica proprio da parte della Sogin.
Tra le “grandi candidate” stando a diverse indiscrezioni trapelate negli ultimi mesi ci sarebbero Lazio, Puglia, Basilicata e Toscana. Eppure, visti i criteri di valutazione della Sogin sulla sicurezza dei territori che dovrebbero ospitare il deposito, sembrava che la piccola lucania fosse stata definitivamente esclusa in quanto area ad elevato rischio sismico.
Eppure resta il grande silenzio del Governo a quanto pare intenzionato a dilatare il più possibile i tempi per una decisione. In effetti l’argomento è estremamente delicato visto che si sta parlando di centinaia di metri cubi di rifiuti radioattivi a bassa e media intensità da stoccare in un bunker sicuro.
Ma in cosa consiste il procedimento? Nei 60 giorni previsti dalla legge, Ispra avrebbe dovuto effettuare una verifica di coerenza con i “Criteri per la localizzazione di un impianto di smaltimento superficiale di rifiuti radioattivi a bassa e media attività”, emanata nel giugno 2014 e dei criteri dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica, unitamente ad una validazione dei risultati cartografici.
Entro 30 giorni, poi, sempre l’Ispra avrebbe dovuto predisporre una relazione da trasmettere ai ministeri competenti (Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare e Ministero dello Sviluppo Economico) sulla cui base, nei successivi 30 giorni, i Ministeri stessi potranno comunicare alla Sogin il proprio nulla osta, con eventuali rilievi.
E proprio ieri il sottosegretario all’ambiente Barbara Degani ha risposto all’interrogazione proposta in commissione Ambiente al Senato. Durante la sessione la Degani ha confermato «l’intenzione del Governo di destinare il deposito nazionale allo smaltimento a titolo definitivo dei rifiuti radioattivi a bassa e media attività, e all’immagazzinamento, a titolo provvisorio di lunga durata, dei rifiuti ad alta attività e del combustibile irraggiato proveniente dalla pregressa gestione di impianti nucleari». Poi la “doccia fredda” sulle famose linee guida che avrebbero dovuto tenere fuori la Basilicata.
«Le verifiche – si legge nelle dichiarazioni della Degani – di rispondenza e di compatibilità per il deposito provvisorio di lunga durata che il soggetto attuatore dovrà fornire a corredo dell’istanza di autorizzazione alla costruzione – citate nella relazione dell’Ispra e ritenute da taluni, erroneamente, come una riserva sull’idoneità del sito – sono pertanto riferite alle sole caratteristiche progettuali dell’installazione, che dovranno essere tali da assicurare il rispetto degli obiettivi di radioprotezione prefissati».
Dunque quelle linee dell’Ispra a cosa sono servite se non rappresenta neanche una eventuale riserva sulla scelta del sito?
Intanto nel testo dell’interrogazione si legge che «è inoltre in fase avanzata di predisposizione una ulteriore guida tecnica dell’Ispra relativa anche ai criteri per la realizzazione e l’esercizio di un impianto di deposito temporaneo di lunga durata per rifiuti radioattivi ad alta attività. Allo stato attuale è previsto che i rifiuti radioattivi ad alta attività ed i limitati quantitativi di combustibile irraggiato rimasti nel territorio nazionale debbano trovare collocazione nell’apposita struttura di deposito temporaneo prevista nel deposito nazionale.
Ciò permetterà di assicurare, tra l’altro, il rispetto degli impegni assunti dall’Italia con la Francia per il rientro nel nostro Paese dei residui derivanti dal riprocessamento e di completare il processo di decommissioning delle installazioni nucleari».
v. p.
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