5 minuti per la lettura
POTENZA – Arriva in Cassazione l’inchiesta su abusi di potere e affidamenti truccati nel Comune di Melfi. Lo ha deciso la procura del capoluogo che nei giorni scorsi ha presentato un ricorso in Cassazione contro la decisione del Riesame sulle accuse al sindaco Livio Valvano.
Per i pm potentini guidati dal procuratore Luigi Gay il primo cittadino non può indossare la fascia tricolore perché c’è il rischio che commetta altri reati come quelli che a gennaio gli sono già costati gli arresti domiciliari, e poi il divieto di dimora nella cittadina federiciana.
Agli inizi di febbraio i giudici del Tribunale della libertà erano stati di diverso avviso, ma le loro motivazioni non hanno convinto gli inquirenti. Anche perché una volta annullata la misura cautelare è venuta meno anche la sospensione disposta dal prefetto per effetto della legge Severino. Per questo hanno rimesso la questione alla Suprema corte, che nelle prossime settimane fissera un’udienza per la discussione.
Valvano ha sempre respinto gli addebiti nei suoi confronti, ma anche il Riesame aveva espresso seri dubbi sulla sua condotta. Salvo consentirgli di tornare in carica perché “dissuaso” dai 10 giorni trascorsi agli arresti.
«Appare difficile», scriveva il collegio presieduto da Gerardina Romaniello (consiglieri Natalia Catena e Vincenza Cozzolino), che il sindaco «ignorasse il concreto ruolo» dell’ex capo dell’ufficio tecnico del Comune, Bernardino D’Amelio. Lo stesso D’Amelio per cui il pm Francesco Basentini ha appena spiccato anche un avviso di conclusione delle indagini per concorso esterno nel clan Di Muro.
Le indagini condotte dagli agenti della squadra mobile di Potenza, a detta dello stesso Riesame, avrebbero mostrato la «sistematica violazione di plurime regole di condotta» e l’assegnazione di «lavori pubblici di ogni genere» ad «appannaggio esclusivo» di D’Amelio, «al quale gli imprenditori a lui meno vicini si rivolgevano umilmente chiedendo di poter “lavorare”».
E il sindaco – sempre secondo i giudici di libertà – avrebbe saputo del «sistematico affidamento dei lavori ai Caprarella»: l’ex consigliere comunale Antonio e il padre Emilio. Entrambi nel mirino dell’antimafia potentina per i loro rapporti col clan Di Muro. «Del resto – annotano i magistrati – Valvano chiede a costoro», attraverso D’Amelio, l’assunzione di una persona bisognosa che gli aveva chiesto aiuto, «nella consapevolezza che non possono rifiutarsi di farlo».
Diverso il discorso sulle esigenze cautelari che al collegio sono apparse «mutate» in maniera determinante.
Infatti i 10 giorni trascorsi agli arresti domiciliari avrebbero avuto «plurimi effetti deterrenti» per il primo cittadino: un soggetto «incensurato sul quale certamente il concreto verificarsi di conseguenze negative per le condotte poste in essere può aver sortito un efficace effetto dissuasivo».
Il Riesame non ha creduto alla difesa di Valvano che ha «comprensibilmente rappresentato come l’operato del proprio assistito sarebbe non solo improntato alla massima buona fede, ma anche volto alla tutela di fasce deboli e, dunque, espressione di una gestione da “buon padre di famiglia” della amministrazione». Aggiungendo che le motivazioni di quanto compiuto potrebbero valere soltanto per la «dosimetria della pena» alla fine del processo se mai sarà.
Quanto alla variante da quasi 400mila sul progetto delle case popolari di contrada Bicocca, affidata a una ditta dei Caprarella, che nel 2009 si era aggiudicata anche l’appalto, i giudici spiegano che sarebbe servita una nuova gara.
Solo «la falsa perizia di variante – parole loro – predisposta da D’Amelio con Caccamo (Gerardo, ragionere “factotum” dei Caprarella» avrebbe permesso di mantenere il valore dei lavori sotto la soglia del 20% di quello dell’appalto principale, e di procedere con un affidamento diretto. E di questo il primo cittadino sarebbe stato perfettamente consapevole, dalla lettura delle «plurime affermazioni di D’Amelio (registrate dalle microspie piazzate nel suo ufficio, ndr) che rassicura in più occasioni sindaco e appaltatrice che “tutto” sia sotto tale limite».
D’altra parte i giudici del Tribunale della libertà si soffermano sulla vicenda della donna assunta dai Caprarella “per conto” del sindaco. Sottolineano le dichiarazioni di D’Amelio che di fronte al gip ha ammesso di aver veicolato la richiesta del sindaco. E l’atteggiamento di Antonio Caprarella «“indotto”, nel significato di “spinto”, consapevole che il complessivo clima collusivo (…) gli imponevano di contraccambiare i favori offerti dall’amministrazione con prestazioni non dovute».
Solo sui lavori da affidare alla ditta del cognato del consigliere comunale Antonio Sassone per ottenere il suo voto favorevole al bilancio si mostrano scettici a proposito del coinvolgimento di Valvano. «Ben potrebbe ipotizzarsi – concludono – che Di Ciommo (Rinaldo, l’ex vicesindaco, ndr) effettivamente invitato da Valvano a cercare il consenso dei consiglieri abbia autonomamente deciso di utilizzare la tecnica del “lecca lecca”.
Assieme al sindaco, all’architetto D’Amelio, i Caprarella, l’ex assessore Di Ciommo e il consigliere Sassone risultano indagati tutti i membri della vecchia giunta (tranne l’ex assessore Rosa Masi), un dirigente del Comune, un ex primo cittadino come l’avvocato Alfonso Salvatore. In totale 25 persone. Per loro la procura è intenzionata a chiedere il rinvio a giudizio e a breve il gup potrebbe stabilire la data di inizio del processo.
l.amato@luedi.it
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA