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SU QUALCHE agenzia giornalistica e social network sono apparse dure critiche alla mia valutazione su questa testata del programma Presa Diretta di domenica 22 febbraio sulla Terza Rete Rai che è stata dedicata ad una critica allo Sblocca Italia e ai rischi delle estrazioni petrolifere in Basilicata e altrove. Chiudevo il mio intervento affermando – con una mia autonoma interpretazione del pensiero di manager dell’Eni – che se malauguratamente quest’ultima e altre compagnie petrolifere impegnate in Basilicata fossero costrette a lasciarla sotto la pressione dell’estremismo ecologista tornerebbero “i pecorai e i morti di fame”: frase che ha suscitato l’indignata reazione dei miei interlocutori che ringrazio comunque per l’attenzione (ancorché polemica) prestata alle mie parole.
Ora è del tutto evidente che la mia affermazione ha espresso un’amareggiata preoccupazione, ma non era affatto un’invettiva o, peggio, un cinico augurio per gli amici della Basilicata; una regione che conosco molto bene, che rispetto, che amo e nella quale ho anche contribuito in passato a portare investimenti nel turismo, nell’industria e nella forestazione produttiva quando ero nelle condizioni di poterlo fare. Chiarisco allora che la frase è stata effettivamente eccessiva e a ripensarci fuori luogo ma il punto è che la mia preoccupazione è quella di tanti lavoratori, tecnici, piccoli e medi imprenditori, giovani studenti e laureati lucani i quali nutrono anch’essi il timore che una riduzione o, peggio, una dismissione delle attività di up stream in Basilicata – e la scomparsa in essa di altre industrie – possa colpire la produzione di reddito e l’occupazione attuale e futura della regione, con un drastico impoverimento della sua popolazione. Perché il punto su cui confrontarsi senza pregiudizi e con precisi dati alla mano è proprio questo: fermo restando che un’economia agro-silvo-pastorale (gestita però con criteri moderni ed ecosostenibili) è una risorsa in quella come in altre regioni ove sia possibile, è pensabile veramente che l’economia legata a ricerca, estrazione, primo trattamento e raffinazione (a Taranto o altrove) del petrolio lucano, sia sostituibile dall’economia di altri settori ? Vogliamo discutere (costruttivamente) su quanto valore aggiunto e pil genera già da tempo il comparto estrattivo nella regione fra occupazione diretta sui pozzi, al Centro Oli di Viggiano, fra le Pmi impiantistiche che lavorano in esso e su tutte le attività indotte in filiere lunghe che vi sono collegate? E vogliamo discutere anche sull’occupazione a Corleto Perticara e dintorni ove stanno lavorando Total, Shell e Mitsui allestendo altri pozzi e un secondo Centro Oli che a regime daranno e tratteranno 50mila barili di greggio al giorno? Fra riserve certe, probabili e possibili la Basilicata quasi sicuramente ‘galleggia’ sul petrolio; ma non bisognerebbe estrarlo? E perché mai? Il primo grande accordo fra Governo e Regione per lo sfruttamento dei giacimenti risale al 1998 col 1° Governo Prodi: ma i contenuti di quell’accordo non sono stati ancora pienamente attuati, anche per resistenze di Amministrazioni locali e di associazioni ambientaliste. Certo, nessuno vuole negare l’impatto sull’ecosistema delle attività estrattive e di trattamento: ma – premesso che lo scrivente non ha una sensibilità ambientalista inferiore a quella dei propri interlocutori – un ambientalismo forte, qualificato e maturo si batte per esigere il rigoroso rispetto di norme e procedure che salvaguardino ambiente e salute con l’impiego di bat-best available technologies (le migliori tecnologie esistenti) che lo rendano possibile.
Allora su tutti questi aspetti – occupazionali, reddituali e tecnologici, analizzabili nella loro sfaccettata complessità – avrebbe dovuto, a mio avviso, soffermarsi la trasmissione Presa Diretta che sulla Rai è un servizio pubblico. Lo Sblocca Italia approvato dal Parlamento ha avuto proprio la finalità di accelerare, nel rispetto dell’ambiente, investimenti nel settore, fermi o rallentati da troppo tempo.
E last but not least: io credo che la grande opinione pubblica italiana debba apprezzare il lavoro silenzioso di centinaia di dirigenti, quadri, tecnici ed operai dell’Eni sui campi petroliferi in Basilicata e altrove. Sono gli eredi della grande scuola di Enrico Mattei che portò tecnologie e orgoglio nazionale in Basilicata, in Italia e nel mondo.
da il foglio.it
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