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POTENZA – Il presidente della società civile che seppe traghettare la Basilicata in una delle fasi più delicate della storia politica italiana, in un’epoca di scelte cruciali per la Regione. Grande impegno civile, correttezza, rigore morale. Sono questi i tratti distintivi di quello che fu un vero e proprio governatore tecnico della Basilicata. E di cui, nel giorno della sua scomparsa, tutti hanno voluto ricordare l’elevato profilo istituzionale ma soprattutto l’indole di persona perbene. Al di là di ogni appartenenza politica, un omaggio corale a un uomo che seppe fare proprio della pacificazione la sua carta vincente. Angelo Raffaele Dinardo si è spento ieri mattina, all’età di 83 anni, a Potenza. Una morte improvvisa che ha lasciato tutti sorpresi e sgomenti. Professore, direttore didattico, sindacalista della Cisl, era ben noto per la sua grande sensibilità sociale, come sindacalista ma soprattutto come uomo della scuola. La politica era una passione, ma Dinardo, originario di Irsina, non l’aveva mai intesa come una professione. Fino a quando nel ’95, fu sul suo nome che ricadde la scelta di una coalizione di centro sinistra sostenuta dai partiti usciti sconvolti e ridisegnati dallo scandalo di “Mani pulite”. Nel professore si individuò il candidato ideale per riabilitare una politica che non aveva più credibilità agli occhi dei cittadini, con il difficilissimo compito di tenere insieme ex democristiani e post comunisti. Quasi a sorpresa, mentre nel resto d’Italia si consolidava il consenso intorno a Berlusconi, che nel frattempo aveva fatto il suo debutto in politica, Dinardo riuscì a portare la coalizione alla vittoria. “Un trionfo” commentava Emilio Colombo all’indomani delle elezioni, precisando che quello tra il suo Partito Popolare e il Partito democratico della sinistra sarebbe stato un accordo elettorale ma non politico. Bastato, comunque, a fronteggiare l’offensiva degli avversari che avevano puntato invece sull’attuale presidente dell’Apt, Gianpiero Perri. Determinante per la vittoria di Dinardo furono anche i voti spostati per la quota maggioritaria da Rifondazione comunista di Pietro Simonetti: dopo il no dei popolari al simbolo del Prc, l’ex presidente del Consiglio aveva deciso di correre con il suo partito, con una lista a parte. Salvo poi, a venti giorni dal voto, ricordare al suo elettorato che “la cosa più importante è battere il centrodestra”. Simonetti fu per Dinardo, più che un consigliere d’opposizione in Consiglio, un amico con cui confrontarsi spesso. Cosa che spesso gli costò qualche diffidenza da parte dell’ala più moderata. Dinardo riuscì comunque a governare per cinque anni, fino al 2000, assicurando stabilità politica, senza che il suo esecutivo conoscesse crisi. Suo vicepresidente, l’attuale viceministro Filippo Bubbico, che a fine mandato avrebbe preso il suo posto. Furono cinque anni importanti per la Basilicata, in cui vennero buttate le basi per la gestione delle sue risorse più importanti: acqua e petrolio. Ma, oltre alle capacità di governatore, Dinardo che veniva dal mondo della scuola, ebbe soprattutto la grande abilità di farsi ascoltare dal suo popolo. Profondamente cattolico, si ricorda di lui il discorso che tenne a Viggiano in occasione dei festeggiamenti della Madonna Nera, in cui riuscì a parlare a cuore aperto ed entusiasmare migliaia di persone. Disponibile e umile con il suo popolo, determinato con i potenti. In un’intervista del giornalista Mario Trufelli del 2010, è lui stesso a ricordare quell’incontro con il premier Romano Prodi . Erano i primi confronti che si tenevano con la Regione Basilicata che avrebbero portato agli accordi per il petrolio in Val d’Agri. Dinardo si presentò al presidente del Consiglio, portandogli in dono un’effige della Madonna di Viggiano. “Il mio vice presidente Filippo Bubbico – avrebbe raccontato più di 10 anni dopo a Trufelli – mi bussava sulla gamba, sotto il tavolo, preoccupato che potessi infastidire il capo del governo. Ma l’incontro si risolse con la sottoscrizione di un protocollo di accordo molto favorevole per la Basilicata. A parte fu sviluppato il negoziato con l’Eni».
Indimenticabile, poi, la sua partecipazione allo sciopero generale indetto dai sindacati per lo sviluppo della Regione.
Finiti i cinque anni di mandato, però, quella stessa politica che Di Nardo era riuscito a riabilitare decise che la sua esperienza non avrebbe avuto un seguito.
Tornò alla pubblica amministrazione, questa volta però in qualità di vicepresidente del Formez. “Un prestito finito”, per usare le sue stesse parole, quasi fino a scomparire completamente dalla scena politica. Che però continuava a guardare con estrema curiosità. E, qualche volta, soprattutto negli ultimi anni, a non capire. “Noto tanta desolazione e depressione”, aveva detto in un’intervista rilasciata al Quotidiano della Basilicata a luglio 2013, quando la regione stava vivendo un’altra fase buia della sua vita, scossa com’era dall’esplosione della Rimborsopoli lucana, dalle dimissioni anticipate di De Filippo e soprattutto dallo scontro interno del partito democratico. Ieri, a ricordalo, sono stati in tanti, tutti coloro che lo hanno conosciuto. Oggi sarà allestita la camera ardente nell’atrio antistante l’aula del Consiglio regionale nel Palazzo della Giunta. Mentre domani, alle 10 e 30, avranno si terranno i funerali nella Chiesa di Santa Maria.
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