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L’Eni, tramite i suoi legali, ha diffidato la professoressa Albina Colella a continuare «nell’attività denigratoria di Eni in qualsiasi forma e in qualunque sede».

Ecco parte del testo della lettera, inviata per conoscenza anche al ministro dell’Università, Stefania Giannini. 

«Nel maggio 2013, a seguito della segnalazione di un privato che, rinvenendo sul proprio terreno agricolo due polle di acqua dal colore apparentemente nerastro, chiedeva che ne venisse accertata la natura, Ella ha campionato le acque e avviato lo studio; e sulla base di primi parziali dati che pretendevano già di rappresentare il fenomeno ha cominciato a rilasciare dichiarazioni agli organi di stampa sulla plausibile origine petrolifera di tali acque.  Ciò ha avuto da subito grande risonanza a livello mediatico che, a distanza di un anno, ha creato un vero e proprio clima di allarmismo diffuso sul territorio al punto da richiedere l’intervento di ARPAB, della Regione Basilicata, del Comune di Montemurro, nonché della Magistratura».

Proprio per il «clamore mediatico» nato dalle dichiarazioni, l’Eni ha deciso di affidare a Eros Bacci (biologo, già ordinario di ecotossicologia nell’Università di Siena) l’incarico di verificare la fondatezza dello studio presentato da Albina Colella.

«Dal confronto tra la metodica di analisi da Lei dichiarata in conferenza stampa e quella adottata dal prof. Bacci appare di immediata evidenza il gap metodologico, prima ancora che scientifico», proseguono i legali Eni.

A Colella contestano tre passaggi della metodologia usata:

a) avrebbe dovuto esaminare alcuni campioni delle acque di strato che vengono re-iniettate in giacimento mediante il Costa Molina-2;
b) la mancata ricerca del profilo isotopico di Idrogeno e di Ossigeno in grado di dire con certezza se si tratta di acque di origine fossile o meteorica;
c) la verifica assente sul mescolamento delle acque che provengono dal Costa Molina-2 alle acque di contrada La Rossa.

Alla professoressa dell’Unibas contestano di «non aver avuto scrupoli nel continuare a pubblicare dati e risultati anche parziali: affermare che le acque rinvenute in contrada La Rossa sono acque di re-iniezione del pozzo Costa Molina-2 vuol dire sostanzialmente affermare che il pozzo non presenta garanzie di tenuta e che, dunque, le acque di strato, anziché tornare nella loro sede naturale e originaria, si disperdono nell’ambiente contaminando le acque superficiali».

Simili affermazioni, dicono i legali dell’Eni, creano «allarme sociale e danneggiano l’immagine della società,  senza avere prova alcuna della provenienza delle acque dal pozzo di re-iniezione».

La contestazione di Eni guarda anche al “peso” della posizione della Colella: da docente universitario «non poteva non conoscere quali indagini avrebbero dovuto essere effettuate e quali elementi avrebbero dovuto essere ricercati per pervenire alle conclusioni proposte al pubblico che avessero dignità di prova scientifica».

In chiusura, l’invito a un confronto con il professor Bacci e con altri esperti Studiosi: l’Eni fornisce piena disponibilità della società a presenziare a un incontro. 

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