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POTENZA – Pensava di essere al sicuro a casa sua. Nelle campagne di Policoro. Non pensava che i finanzieri potessero risalire a lui, e ai lavoretti che faceva col fratello del boss degli zingari. Invece, lunedì mattina, si è trovato con i militari alla porta. E non ha potuto far nulla per nascondere il tesoro che custodiva lì dentro: armi, cocaina in abbondanza, e «svariati reperti archeologici risalenti al V secolo avanti Cristo».
Per gli inquirenti della Dda di Catanzaro era Giambattista Serio l’«alter ego» di Giacomo Solimando nei traffici di droga che partivano dal feudo del fratello Filippo, policorese a sua volta ma da tempo residente in Calabria, che da qualche anno avrebbe raccolto la guida del “locale” di ‘ndrangheta di Corigliano.
Armi in cambio di eroina sospettano i magistrati. Per questo lunedì mattina hanno spiccato un decreto di fermo anche per Serio, assieme ai due Solimando e altre 30 persone. E se nel “fortino” degli zingari a Lauropoli sono saltate fuori auto di lusso e persino una bisca clandestina, a Policoro la faccenda sembra essersi fatta subito molto più preoccupante, quando i militari hanno trovato a casa di Serio due rivoltelle senza matricola, di cui una carica e pronta all’uso, e una penna pistola. Poi 88 grammi di cocaina nascosti in alcuni barattoli di vernice e 4 bilancini di precisione. Infine un piccolo tesoro di reperti archeologici, presi chissà dove, «in metallo ed in terracotta». Tra i quali spicca un’anfora più grande con decorazioni dipinte a mano. Oltre a «copiosa documentazione attestante la “fiorente” attività dell’organizzazione».
Serio è accusato dall’antimafia di Catanzaro di aver trafficato droga e armi assieme a Giacomo Solimando, 50enne sempre di Policoro, e agli zingari capeggiati da suo fratello minore Filippo.
Sul suo conto sono diversi gli elementi raccolti durante le indagini. Anche se durante i “viaggi” a cui risulta aver partecipato tutto sarebbe andato sempre per il meglio. Senza sorprese sgradite da parte delle forze dell’ordine. E forse è proprio per questo che si sentiva tranquillo. Al punto di custodire a casa documenti e quant’altro sui suoi affari con i Solimando.
L’inchiesta condotta dall’élite delle Fiamme gialle e dalla compagnia di Policoro era partita nel 2013 dal sequestro di 1.340 chili di marijuana nascosti sotto un carico di arance, affidato a un autotrasportatore di Policoro, Giuseppe Todaro. Da Todaro gli investigatori sono risaliti al fornitore albanese e agli intermediari di Corigliano, che gestivano una flotta di pescherecci utilizzati per importare la merce in Italia. Ma non sono passati inosservati nemmeno i suoi rapporti con Giacomo Solimando. E quando hanno scoperto le chat che utilizzavano per comunicare, la linea di comando è apparsa davanti ai loro occhi. Con i ruoli e le direttive impartite dal boss, e le trattative per una partita di cocaina con un cartello paraguaiano. Oltre all’intermediazione nella compravendita dell’arsenale (10 Kalashnikov, 2 mitragliette Scorpion e 5 pistole semiautomatiche), sequestrato vicino Gioia Tauro a marzo.
Armi fornite dallo stesso «noto pregiudicato» di Vibo Valentia che anche Serio avrebbe conosciuto bene. Secondo gli inquirenti. Destinate al “gancio” di Filippo Solimando nel porto di Gioia Tauro, dove da anni si consuma una faida sanguinosa tra famiglie un tempo vicine al potente clan dei Piromalli.
Sullo sfondo ci sono i miliardi della cocaina che rifornisce i mercati italiani ed europei. Passando anche per Policoro, dove l’antimafia di Catanzaro ritiene che Solimando avesse trasferito la «base operativa» dei suoi traffici. Grazie proprio all’appoggio del fratello e del suo «alter ego».

l.amato@luedi.it

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