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POTENZA – In questo mestiere trovare una persona come Vito Verrastro è un caso più unico che raro.
Il sogno di tutti gli aspiranti giornalisti è entrare in una redazione, il più delle volte si rincorre un praticantato per anni, accontentandosi di paghe miserabili e ingoiando enormi rospi.
Vito no. Sono state le redazioni a cercarlo. Ed è stato lui a dire no. Non è il praticantato che gli serviva per fare questo lavoro, anche perchè «se entri nella fabbrica giornale perdi la creatività. E se un giornalista perde quella è finita».
Vito Verrastro è un free-lance. Uno di quelli con partita iva che, consapevolmente, ha scelto la strada più libera. Ma anche la più complessa.
«E’ anche una dannazione – dice – perchè ogni mattina bisogna pensare “e oggi che mi invento?”. Perchè uno stipendio – ma anche questo è ormai un termine desueto – bisogna guadagnarselo giorno per giorno».

Una scelta coraggiosa ma anche rischiosa la tua…

«La dimensione di un giornalista all’interno di una redazione è ristretta. Invece si può lavorare in tanti ambiti, la comunicazione apre a diverse dimensioni e possibilità. In una redazione, invece, io soffocavo. Non ho mai visto questa come un percorso di crescita. Certo la mia condizione è anche una dannazione, una sfida continua, non vivi mai rilassato. Ma ho giurato a me stesso che non avrei mai più affidato il mio destino a un solo editore, dopo che mi sono ritrovato senza nulla da un anno all’altro. Nel 1992-‘93 avevo un contratto anche buono con Trm, c’era una redazione anche a Potenza. Poi non mi fu rinnovato il contratto e io mi ritrovai a zero. Allora, per fortuna, non avevo famiglia. Ma mi sentii perso. E poi comunque io mi stanco di fare sempre le stesse cose. In Gazzetta ho seguito il Potenza calcio per 12 anni. A un certo punto ho sentito di non avere nulla da dire e ho smesso».

Ma ci hai perso anche dei soldi? Sei uno dei pochi che non vive con l’ansia dello stipendio…

«Quando mi sono stancato di seguire il Potenza ho rinunciato a 600.0000 lire, un bel pezzo di stipendio certo. Ma io sono fatto così, mi deve piacere quello che faccio. E lavorare con la partita iva mi dà la possibilità di scegliere. E su questo sono integralista: mi deve piacere davvero la persona con cui lavoro».
Ma si riesce quindi a fare questo mestiere anche fuori da una redazione, anche in Basilicata?
«Oggi puoi lavorare anche da luoghi più sperduti di Potenza: se hai orizzonti ampi puoi tranquillamente avere contatti e contratti ovunque. Ma dobbiamo cambiare il nostro approccio, la nostra mentalità».

Quindi, secondo te, il giornale di carta è arrivato al capolinea?

«L’era dei giornali di carta è già finita, da qui a pochi anni probabilmente non esisteranno più, a meno che non cambino i parametri, ovvero non siano più importanti le vendite ma la pubblicità. E io lo dico spesso ai miei colleghi: bisogna reinventarsi. E bisogna farlo subito. Lo dico su studi che si stanno facendo nel resto nel mondo, non in Italia, dove ancora si ragiona molto lentamente su queste problematiche».

E invece in questa fase di enorme difficoltà per l’editoria e per i giornalisti sono le domande da porsi…

«C’è un giornalismo che ormai vive solo sui social. E in America c’è chi profetizza che nel 2025 saranno dei robot a generare le notizie. E con una velocità che per l’uomo non è neppure pensabile».

Come possono delle macchine sostituire il racconto, le sfumature le emozioni?

«Se ne parla per il giornalismo sportivo e per la finanza: ci sono dati che i robot potranno raccogliere e mettere in rete prima degli uomini. Il giornalismo sopravviverà sempre più su nicchie e micronicchie, proprio perchè nessuna macchina potrà mai raccontare un’emozione».

E chi legge sarà ancora interessato al racconto?

«Questa è la vera domanda. Però, dalla mia esperienza, posso dire che ci sono – ed è quello che bisogna saper captare – delle nicchie di lettori molto interessati. Io collaboro da cinque anni con Informatore agrario. E l’Informatore agrario ha una rivista, Vita in campagna, che vive solo di abbonamenti. Ci sono in Italia 80.000 abbonati a questa rivista. Interessi settoriali, giornalismo di servizio per settori specializzati. Ecco cosa sopravviverà. Il giornalismo generalista non ha più senso di esistere».

Come vedi quindi il futuro di questo mestiere?

«Dobbiamo iniziare a pensare che il lavoro nel 2030 sarà costituito da free-lance. E’ impensabile che ci siano in futuro editori pronti a pagare uno stipendio a vita. E il lavoro più interessante e meglio fatto verrà pagato. Dobbiamo essere pronti a questo: cambiamento è la parola chiave. E chi resta ancorato a vecchie logiche e dinamiche è, inevitabilmente, destinato a vedere sempre più ristretti i suoi spazi».

In questo contesto vedo poco pronto a questi epocali cambiamenti anche l’Ordine dei giornalisti…

«Anche l’Ordine è costruito su basi antiche. E ne abbiamo conferma dai corsi di formazione. Con tutto il rispetto, ma ha ancora senso continuare a proporre corsi su Etica e diritto di cronaca, quando tutte le prospettive stanno cambiando?».

Tu sei stato uno dei primi in questa regione a confrontarti con i nuovi media, le tecnologie e l’innovazione. Ed è per te anche più facile muoverti in questa fase di transizione. Ti chiedo allora come si può pensare di continuare a fare questo lavoro senza la sicurezza di uno stipendio?

«Bisogna semplicemente guardare da una prospettiva diversa. Ci sono molti nomadi digitali che lavorano e guadagnano con collaborazioni che si aprono di volta in volta. Non sarà uno stipendio classico, ma tante piccole collaborazioni che ti consentono di vivere tranquillamente. Dandoti tra l’altro la possibilità di spaziare, di fare cose nuove. Certo poi anche la libertà ha un prezzo e il prezzo è di vivere sempre dovendo guardare oltre, non potendo mai rilassarti. Devi studiare, aggiornarti, conoscere al meglio l’inglese. E proporre continuamente nuove idee, fare proposte. Noi giornalisti dobbiamo iniziare a immaginarci in un contesto molto fluido. Ecco, siamo generatori di contenuti ma in contesti fluidi. Questo è almeno ciò che avviene se allarghiamo lo sguardo e vediamo cosa accade nel mondo. Però la componente fondamentale di questo lavoro resta e resterà la capacità di ascolto, la creatività e la curiosità. Elementi che la redazione, come una fabbrica, ha eliminato. Si calcola che in Europa si apriranno, nei prossimi due anni, migliaia di posti di lavoro nell’ambito della comunicazione. E chi saprà portare elementi di innovazione e novità riuscirà a farcela».

Tutto sta a trovare il coraggio di guardare oltre i limiti (ristretti) entro i quali siamo abituati a immaginare questo lavoro.

a.giacummo@luedi.it

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