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MELFI – Era atteso come il vero banco di prova per capire se e come si fossero spostati gli equilibri sindacali all’interno dello stabilimento ridisegnato dagli investimenti di Marchionne. E nella tarda serata di mercoledì, dopo le operazioni di spoglio, è arrivato il verdetto tanto atteso. Chi credeva che la Uilm uscisse ridimensionata dalle urne dopo aver guidato, come primo sindacato, la lunga transizione, dalla crisi alla ripresa, durata più di due anni, si è dovuto ricredere: i metalmeccanici della Uil restano la prima organizzazione in fabbrica, con una percentuale addirittura lievemente in aumento. Con il 37,6 per cento delle preferenze, il sindacato guidato a Melfi da Marco Lomio conquista 18 delegati. Un risultato non scontato, alla luce della forte avanzata della Fismic (la vera sorpresa delle elezioni 2015), che, per la prima volta nella storia dello stabilimento lucano, diventa il secondo sindacato, passando dal 20,4 per cento del 2012, al 33,9 per cento attuale. E guadagnando 16 delegati. Una crescita che, a guardare bene i dati, sembra essere soprattutto il risultato della convergenza all’interno del sindacato di Di Maulo di un pezzo della Fim, a seguito della scissione, e di una parte dell’Ugl. I metalmeccanici delle ultime di sigle sono di fatto quelli che perdono di più: la Fim passa dal 31,1 del 2012, al 21,2 di oggi (con gli attuali 10 delegati) . Un calo sensibile anche se meno inteso di quello che si era immaginato. L’Ugl, a sua volta, perde più di sette punti percentuale (dall’11 per cento di tre anni fa, al 3,9 del 2015, con soli due delegati). Che sommato al 10 per cento di differenziale della Fim, fa quel totale che si sposta in larga parte sulla Fismic e in piccola parte, probabilmente, anche sul sindacato dei capi e dei quadri Aqfc che corre per la prima volta in Sata per l’elezione della Rsa e che porta a casa un 3,4 e due delegati. Molto più difficile è invece cercare di capire che fine abbiano fatto i voti della Fiom Cgil, che nella storia della Fiat lucana è stata anche primo sindacato in Sata. Quest’anno non ha partecipato alle elezioni, così come è accaduto anche nel 2012, per non aver sottoscritto il contratto aziendale. Fatto che rende ancor più difficile l’analisi. Il dato relativo alla partecipazione, complessivamente pari al 93,7 per cento, induce a pensare che il voto del sindacato di Landini sia andato disperso. Potrebbero dire qualcosa le 541 schede bianche e nulle uscite dalle urne dello stabilimento. Che sono più della metà delle preferenze andate alla Fim. E’ verosimile credere che almeno parte del voto degli operai della Cgil sia finito lì. Ancor più se si considera che il dato è quasi identico a quello del 2012. L’esclusione della Fiom dal voto, però, rende di fatto impossibile raccogliere la voce di quel pezzo di fabbrica che si è ritrovata nella “lotta dei 21 giorni” o nelle battaglie per i tre operai licenziati da Marchionne. A maggior ragione nello stabilimento che oggi vede come seconda organizzazione il sindacato maggiormente filo aziendalista. Per intenderci, quello che dalle pagine di Panorama accusò, con le testimonianze dei suoi scritti, Barozzino, Pignatelli e Lamorte di essere “gli eroi bugiardi”. Una storia più o meno recente, ma che sembra ormai lontanissima dalla nuova compagine che ritrova sostanzialmente compatta intorno al progetto Fca che ha portato fuori la Sata dalla palude in cui era finita.

m.labanca@luedi.it

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