4 minuti per la lettura
NON è solo Total a soffrire, tutte le grandi compagnie petrolifere stanno subendo l’incredibile abbassamento dei prezzi del petrolio sotto i 50 dollari al barile, Eni compresa. A dire la verità ieri nelle borse mondiali si è visto un leggero aumento a 50,46 dollari a barile, ma è ancora troppo poco per far muovere di nuovo gli investimenti. Dunque adesso le più grandi corporation del mondo battono cassa e annunciano tagli. Eni, attraverso l’amministratore delegato Claudio Descalzi queste cose le ha dette sette giorni fa in commissione attività produttive alla Camera, passando praticamente inosservato. Ha annunciato tagli che ha specificato «non interesseranno le questioni riguardanti la protezione ambientale e dei lavoratori», quasi per mettere le mani avanti su quanto accadrà in questo 2015. Ma la questione è semplice: «Eni non è messa male ma per fare utili abbiamo bisogno di prezzi del petrolio più alti: ecco, gli attuali 50 dollari vanno meglio di 45 dollari». Non si scherza: se è vero che la bolletta energetica sarà più bassa per i consumatori l’Eni fa capire una cosa: i barili devono costare di più perché altrimenti di investimenti non se ne vedranno né nel 2015 né nel 2016.
«Il nostro break even (ovvero la quantità, espressa in volumi di produzione o fatturato, di prodotto venduto necessaria a coprire i costi precedentemente sostenuti, al fine di chiudere il periodo di riferimento senza profitti né perdite) si colloca nella parte bassa dell’industria, quindi abbiamo grossa resistenza: per i progetti futuri siamo a 40-45 dollari al barile, per quelli esistenti molto più in basso perché abbiamo già ammortizzato i costi».
In cosa si traduce tutto questo? In un taglio degli investimenti «del 10-15%, in linea con Shell, Bp e Total». Il problema per Eni sta proprio nei progetti effettuati fino ad oggi: «i nostri progetti sono di lungo termine – dice Descalzi – e ciò che stiamo facendo ora è ottimizzare tutti gli investimenti che non avranno un impatto sulla produzione dei prossimi quattro anni». Proprio per questo adesso si sta sta «spostando gli investimenti sui progetti più rapidi, che possono dare introiti più velocemente». Insomma, si va dove si guadagna prima e la questione dell’offshore Croato potrebbe essere la miniera d’oro che Descalzi sta cercando di mettere in pratica in tempi brevi almeno in Europa.
Ora, il problema sembra non riguardare la Basilicata direttamente, ma in un modo o nell’altro bisogna ritornare nei nostri confini regionali e farci un po’ di conti in tasca. Nel bene o nel male il petrolio in questi anni ha retto un determinato sistema economico e sociale. C’è l’università, per esempio, ma anche il sistema sanitario regionale, la spesa corrente della Regione. Dall’altra parte, in questo momento di crisi globale sul piano petrolifero, risulta ancora più inquietante il numero infinito di sagre, concerti, eventi e contentini che i piccoli comuni petroliferi hanno messo in campo pur di spendere un tesoretto che a questo punto dovrebbe essere tutelato, messo in cassaforte e applicato per progetti concreti.
Il problema è chiaro: prezzo del petrolio più basso vuol dire meno royalties, meno royalties è uguale a meno investimenti sul territorio. Così, mentre il fronte pro e contro oro nero si divideva sulla cessione della sovranità petrolifera di fatto inesistente, così come specificato nell’impietosa relazione della Corte dei Conti dove si precisa che «il ritenere che gli idrocarburi presenti nel sottosuolo regionale “appartengano” alla Regione, intesa sia come comunità territoriale, sia come ente di governo della stessa comunità, può generare pretese e rivendicazioni di tipo localistico, con conseguente paradossale impoverimento, sociale ed economico, dei territori e delle comunità da cui si estrae», le compagnie petrolifere hanno cominciato a tagliare.
La questione non era una novità se si pensa al fatto che persino la Norvegia ha cominciato ad avvertire qualche difficoltà economica dovuta al calo del prezzo del petrolio. Dunque, anche la discussione sulla modifica del Titolo V della Costituzione appare un po’ superflua se poi i giochi si fanno su un piano nettamente più grande rispetto alla piccola Italia. L’intero affare petrolio, nonostante Renzi creda di ottenere autonomia energetica spingendo sul raddoppio e riducendo il Paese in un colabrodo onshore e offshore, si gioca ben oltre i confini nazionali. Questo non significa che la Basilicata debba lasciare spazio ad ancora più trivelle, anzi. Questo potrebbe anche essere il momento giusto per vedere bloccati tutti i progetti concessori ancora non messi a regime.
In Basilicata sono arrivate montagne di soldi, polverizzate in tante microvoci che di benefici ne hanno portati pochissimi. A questo punto si potrebbe aprire un altro fronte: creare un benessere “slow” nella piccola lucania ricordandosi che anche le royalties sono una cosa passeggera e che se c’è bisogno di creare “benessere” bisogna farlo ora.
v.panettieri@luedi.it
COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA