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POTENZA – Ogni generazione vive la sua fase di imbarbarimento. E, in questi anni, le nuove tecnologie ci hanno dato una notevole mano. «Siamo in una fase in cui esistono (e hanno visibilità) una miriade di soggetti psicopatici che creano attacchi di panico sociale».
Il punto è sempre il giornalismo. Ma, piaccia o no, il giornalismo e la sua crisi sono lo specchio esatto della crisi dell’intero sistema sociale, del suo decadimento e imbarbarimento. E Ugo Maria Tassinari, dal suo osservatorio privilegiato, ha lo scenario ben più chiaro. L’osservatorio privilegiato è il suo blog, L’alter Ugo, in cui riversa tutta la sua enciclopedica conoscenza sul movimentismo sociale e, in particolare, sulla “fascisteria”.
E incappare in «psicopatici» non è così difficile.
«C’è un problema drammatico in questo momento – dice Tassinari – di validazione. E la vicenda delle due ragazze rapite in Siria e liberate qualche giorno fa ne è l’esempio. Perchè il passo dal falso al verosimile è sempre più piccolo. Faccio un esempio partendo da Gasparri e dal suo tweet: “Sesso consenziente con i guerriglieri? E noi paghiamo”. Parliamo di un ex ministro che ha preso per buona una notizia letta su un sito “piovegovernoladro.info” che, a sua volta, l’aveva ripresa da “catenaumana.it”. Sicuramente quelle due ragazzine sono state incoscienti, ma sono due ragazzine. Eppure dietro Gasparri e a una notizia falsa, si è sviluppato un clima d’odio veramente mai visto, una tale violenza dell’insulto io non l’avevo mai vista. Capiamoci: io tra i miei contatti ho gente che negli anni Settanta ha fatto delle cose atroci, terribili. Ma un terrorista degli anni Settanta era uno che esprimeva un disagio sociale ma a cui il cervello funzionava. Qui parliamo di soggetti psicopatici violenti che puntano solo a creare il panico e questo mi fa davvero più paura. Perchè a questi il cervello non l’aiuta, vedono complotti dovunque, innescano delle condizioni su cui noi dobbiamo veramente interrogarci. E non solo come giornalisti, sia chiaro».

Una violenza verbale che, evidentemente, devono aver assorbito anche i media tradizionali…

«Anche se qui non parliamo di capacità – penso a un Maurizio Belpietro, per esempio – ma di giornalismo cinico. Per cui anche la titolazione diventa un’arma di battaglia. Però la distinzione netta va fatta, perchè una cosa è la radicalizzazione di alcuni soggetti, altro è il popolo della rete».

Tornando nello specifico al giornalismo e ai suoi problemi: cosa sta accadendo a questo mestiere?

«Ci sono diverse questioni: il crollo verticale della qualità e la totale sciatteria. Perchè questo accade? Perchè negli anni è cambiato il carico di lavoro. E non parlo dei giornali locali, dove i redattori hanno sempre fatto gli schiavi e sempre lo faranno. Parlo dei grandi giornali nazionali, come il Corriere o Repubblica, che negli ultimi anni hanno prepensionato centinaia di persone. E li hanno sostituiti con dei ragazzi che oltre al pezzo sul giornale di carta devono garantire il sito, la televisione e anche la radio. Questo toglie tempo alla verifica. E si fanno errori madornali, come quello fatto dal Corriere della sera qualche giorno fa a proposito degli scontri di Cremona, dopo il ferimento di Emilio Visigalli, esponente del centro sociale Dordoni. In pratica un sito di informazione locale, non essendoci immagini specifiche di quel giorno, pubblica la foto di scontri di due anni prima. Lo specifica che la foto è di repertorio, ma quando il Corriere la riprende, pur citando la fonte, lascia intendere che quella sia una foto di quel giorno. Un errore di sciatteria che in passato il Corriere non avrebbe mai fatto».

E’ solo una questione di tempo e carichi di lavoro?

«La verità è che “le notizie so’ rotture di cazzo”. E perdere due minuti per una telefonata o una ricerca è considerata una perdita di tempo. E poi oggi ti arriva il comunicato dei carabinieri e si lavora su quello. Perchè la paura è di prendere “il buco” su quello che hanno tutti. Per cui scatta un meccanismo per il quale non ci si fa più domande. Ed è caduta completamente la tendenza a verificare le notizie. Ciò porta, inevitabilmente, all’appiattimento e all’omologazione. Ed è questo che fa crescere anche le idee complottiste. Perchè se tutti i grandi giornali nazionali fanno pezzi e titoli esattamente uguali, lo psicopatico di turno pensa al complotto, all’informazione pilotata, ai burattinai. Spesso non è così. Oppure capita – come mi è successo in veste di addetto stampa dell’ospedale San Carlo di Potenza – che mi chiamino colleghi per avere conferme a una notizia. Dopo una verifica richiami per dirgli che è una bufala e ti senti rispondere: “ma io ormai il pezzo l’ho scritto, ho già perso tre ore dietro a questa cosa, la scrivo lo stesso”. E capita perchè ci sono precari che fanno questo mestiere tutti i giorni per 500 euro al mese. E quello, dopo che ha già perso tre ore del suo tempo, non butta tutto nel cestino».

E’ un po’ un cane che si morde la coda: l’editoria è in crisi perchè il livello si abbassa. Ma questo succede anche perchè non si garantisce più al giornalista anche la dignità dello stipendio. Ha ancora futuro allora questa professione?

«L’informazione ha ancora un senso, ma bisogna capire qual è il mercato. Una vecchia regola è che è l’offerta a generare la domanda e bisogna capire quando la gente è disposta a pagare per avere notizie. Quello che so è che i quotidiani, così come sono ora, non hanno più senso: sono settimanali, arrivano in edicola già troppo vecchi considerato il flusso continuo di notizie sugli altri mezzi».

Hai parlato della tua funzione di addetto stampa. Come riesci a coniugare il giornalismo d’inchiesta che fai attraverso il blog e la comunicazione per un ente?

«Personalmente vivo un conflitto serio che l’Ordine dei giornalisti si rifiuta di capire. E’ un conflitto d’interesse notevole, tra il dovere deontologico e quello contrattuale. E’ una questione che pongo spesso, anche se l’Ordine si ostina a tenere insieme due figure assolutamente diverse. Io sono tenuto, per contratto, alla fedeltà aziendale. Ma sarei anche tenuto alla verità. Finora non ho detto troppe bugie, ma sono diventato bravissimo nella reticenza».

a.giacummo@luedi.it

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