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POTENZA – «Le indagini hanno offerto le prova di un vero “sistema” creato e mantenuto dal D’Amelio nella gestione delle gare e dei lavori pubblici in modo tale da procurare un ritorno patrimoniale o comunque economico all’impresa dei Caprarella ovvero all’impresa favorita dell’amministratore e/o del politico di turno: spendendo in forma egoistica le sue funzioni, il funzionario indagato era ben conscio di poter offrire agli imprenditori “amici” un risultato estremamente utile quanto idoneo a procurare loro un ricavato diversamente non ottenibile. Di tanto erano perfettamente coscienti innanzitutto i Caprarella oltre che il sindaco Valvano, il vicesindaco Di Ciommo, l’assessore Corbo (oltre che il consigliere comunale Antonio Sassone)».
E’ quanto scrive il gip Tiziana Petrocelli nelle motivazioni dell’ordinanza eseguita martedì mattina che ha portato in carcere il capo dell’ufficio tecnico Berardino D’Amelio, e ai domiciliari il sindaco di Melfi, Livio Valvano, gli imprenditori Emilio e Antonio Caprarella, e il loro «factotum» Gerardo Caccavo.
Secondo gli inquirenti della mobile di Potenza coordinati dal pm Francesco Basentini: «le condotte ascritte a tutti gli indiziati, e segnatamente al D’Amelio, a Antonio Caprarella e al Valvano – hanno dato dimostrazione di una capacità di piegare a condizionare ogni evenienza trasformandola in occasione di guadagno e di interesse illecito condiviso evidenziando un non comune spessore delinquenziale».
Inoltre il primo cittadino avrebbe utilizzato «D’Amelio come propria interfaccia nei rapporti con gli imprenditori e soprattutto come portavoce delle proprie “richieste”. D’altro canto il sindaco, Di Ciommo e Corbo comunque facevano capo a D’Amelio anche quando si trattava di finalizzare l’affidamento di lavori agli amici “favoriti” già deciso in sede politica e a fini politici: è quanto avvenuto nel caso dei lavori affidati a Antonio Ferrieri cognato del consigliere Antonio Sassone».
Di più durante le indagini sono emerse anche alcune conversazioni in cui D’Amelio e Valvano discutono proprio delle attività degli investigatori per ricostruire quanto avvenuto realmente dietro l’approvazione della delibera di variante da 400mila euro sui lavori per le case popolari di contrada Bicocca, l’appalto da un milione e 800mila euro affidato al consorzio capeggiato di fatto dai Caprarella.
«L’acquisizione documentale disposta dalla Procura di Potenza – spiega il gip Petrocelli – formava anche oggetto di una conversazione tenuta dall’architetto D’Amelio con il sindaco Valvano e di una successiva intervenuta con Lorenzo Murano (non indagato, ndr), pure addetto dell’area Infrastrutture e mobilità del COmune di Melfi nelle quali i predetti commentavano l’assegnazione degli appalti e le difficoltà investigative ad individuare le responsabilità: “ma infatti ci sono certe cose che non è che sia facile, facile uscire fuori da, non so come possano fare le indagini eh?”».
«Nonostente la convinzione dei soggetti indagati su tali difficoltà investigative gli elementi probatori acquisiti a proposito dei lavori pubblici in trattazione sono risultati assolutamente concordi ed inequivoci a cominciare dallo stato di redazione degli atti e dei documenti della procedura: molti di essi risultano addirittura privi di luogo e data di redazione o di timbro di deposito negli uffici comunali ovvero gravati da falso ideologico o materiale come nel caso della relazione dell’ingegner Moscaritolo Michelarcangelo nell’ambito dell’appalto pubblico dei 36 alloggi di edilizia popolare».
Ma senza le intercettazioni, in effetti sarebbe stato impossibile «disvelare» gli accordi illeciti sottostanti. Aggiunge ancora il gip: «Attesa la presenza di cocumenti apparentemente idonei a giustificare gli atti deliberativi (…) o le determine dirigenziali dei responsabili dell’Area dell’ente pubblico redatte molto spesso queste ultime da parte di una stessa persona (l’architetto D’Amelio) che assolveva all’incarico di controllore pur svolgendo funzioni di controllato».

l.amato@luedi.it

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