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La realizzazione di 36 alloggi di edilizia popolare e i lavori di messa in sicurezza di una scuola – che hanno portato nelle casse di imprese e società oltre sei milioni di euro – sono al centro dell’inchiesta che oggi, a Melfi (Potenza), ha portato agli arresti domiciliari il sindaco, Livio Valvano (Psi).
L’inchiesta non riguarda opere riferibili alle aziende dell’area industriale di Melfi, compresa la Fca. Oltre a Valvano, sono ai domiciliari due imprenditori e un progettista; in carcere è finito il responsabile dell’area infrastrutture e mobilità del Comune; divieto di dimora a Melfi per l’amministratrice di un’altra impresa.
Gli appalti per gli alloggi di edilizia popolare e per la ristrutturazione della scuola furono aggiudicati «con ribassi anomali del 37,1 e del 38,6 per cento». Le indagini della Polizia hanno portato alla luce «il vorticoso giro di affari e di cointeressenze» fra il funzionario comunale ora in carcere e due imprenditori (padre e figlio, uno indagato e l’altro imputato in inchieste della Direzione distrettuale antimafia di Potenza). Il funzionario, i due imprenditori e Valvano, in qualità di sindaco di Melfi, avrebbero concordato una variante ai lavori per i 36 alloggi, «ricevendo i pubblici ufficiali vantaggi personali».
L’obiettivo era quello di favorire le attività imprenditoriali della famiglia Caprarella, con un sistema nuovo, che gli stessi indagati, in alcune intercettazioni telefoniche, definivano «difficile da capire e da provare» da parte degli investigatori: presentare, cioè, ribassi enormi, fino al 40 per cento, per le gare d’appalto, e poi «aggiustare» il ritorno economico attraverso varianti ai progetti.
E’ stato il Procuratore della Repubblica di Potenza, Luigi Gay, a svelare il modus operandi degli imprenditori, e la loro «vicinanza» all’amministrazione comunale di Melfi. Gli indagati sono complessivamente 25 e lo scenario, secondo il dirigente della Squadra mobile di Potenza, Carlo Pagano, è addirittura «allarmante», soprattutto per quanto riguarda la sicurezza delle opere pubbliche – scuole e case popolari – in corso di realizzazione: a volte, infatti, venivano fatte scelte (nell’ottica del risparmio) come quella di «non mettere» un muro di sostegno per «limare i costi».
Da alcune intercettazioni, infatti, emergono particolari inquietanti: «Sapevamo già che fare: la muratura non era adeguata alla normativa, non c’erano gli ascensori, non c’erano gli infissi».
Ci sono poi terreni venduti dai dirigenti comunali ai Caprarella, assunzioni di persone amiche e promesse di favori. E in molte conversazioni appaiono le frasi «c’è lo ha chiesto il sindaco», riferendosi a scelte su varianti e lavoro, e «approfittiamo della mancanza dell’assessore», non nominato, per «eludere le regolari procedure».
E gli indagati ammettono anche che «con un lecca lecca puoi comprare un consigliere», e «con un lecca lecca non dato lo perdi», per descrivere la «bontà» di alcune amicizie e regalie. I bandi venivano così concordati, con un «vorticoso giro di affari», secondo le definizioni dei giudici, delle persone coinvolte nell’inchiesta (alcune delle quali a giudizio, o indagate, per associazione mafiosa), in modo da «favorire imprese amiche o segnalate da amici o da politici del posto».
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