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HO preso a cuore la Lucania e i suoi paesi, le sue montagne e le sue colline. Viaggio con mio figlio Livio. È lui alla guida, io sto con la macchina fotografica tra le gambe, sono triste perché sta finendo la luce.

Le colline intorno a San Mauro vogliono la luce.

Stanno vicino a una chiesa. Ragazzi con una campana al collo. S’inginocchiano e questo gesto mi commuove. Tra le nebbia e la chiesa c’è il suono delle campane. Penso che questa scena sarebbe piaciuta a Fellini, è un sogno alla buona e noi ci passiamo dentro. Stasera mi piace perfino essere vivo.

Sono arrivato assieme agli emigrati. Vengono da Milano, da Londra per suonare le campane. In pochi giorni passeranno dal pallore cittadino a una faccia cordiale, vinosa.

Sono l’ospite d’onore della festa. Con me c’è Alfonso Guida. Leggiamo davanti a un pubblico attento. I ragazzi della Pro Loco nel loro intervento manifestano una gratitudine e un’attenzione al mio lavoro commoventi.

Nel bar la prima sera il cibo è lucano, ma l’aria è cittadina. Il televisore è acceso perché chi entra deve subito sentire qualche voce. Mio figlio Livio va a prendere la sua chitarra, cominciano i canti e io cado dal filo spinato dell’ansia.
Venerdì mattina ancora seduto a parlare. Sono tutti contenti di sentirmi, anche i bambini. Parlo della bellezza del paesaggio lucano, della forza di una festa come il Campanaccio che ha radici antichissime e una partecipazione corale non comune.

In mezzo alla giornata ho qualche ora libera. Andiamo ad Accettura. Squarciato il sipario di una nuvola, la luce si sparpaglia sul paesaggio. C’è una grossa pietra che pare una scultura e poi una casa. Nient’altro fino ad Accettura. Giro breve nel paese, è il giorno che fanno i fuochi, ma non è il mese giusto per essere qui, tornerò a maggio.

La sera a San Mauro le squadre dei campanacci camminano nel paese senza spettatori e questo mi piace, rende bellissimo il gesto e un po’ assurdo, come una recita in una sala vuota.

Siamo invitati a cena da Mimì Deufemia, uno dei solerti organizzatori della festa, ma finiamo in una cantina. Subito s’impone il canto e un cibo buonissimo. Ogni bocca è scucita, l’allegria esce dalle tane dove stava nascosta. Si va avanti per molte ore e poi si prosegue alla casa di Alfonso, che lui chiama eremo. Il prodigio di San Mauro in questi giorni è questo cambio dal dizionario della lucana arcaica a un poeta infinito, proprio nel senso che scrive senza fine e senza fini: la lingua corre avanti e il sangue dietro nel circuito delle sue vene.

E siamo a Sabato, il giorno ufficiale della festa. Vado in giro per il paese a fare fotografie. Mi riesce in poche mosse di mettere assieme le guance di due anziani su una panchina. I vecchi lucani mi sembrano più miti rispetto ai vecchi della mia Irpinia.

Alle sei della sera escono le squadre dei campanacci. La festa non ha un copione preciso, a parte il gesto simile a quello della copula per far suonare le campane. Ognuno si veste come vuole, molti sono vestiti in modo carnevalesco e questo mi fa pensare che mi piaceva più la sera prima quando le squadre avevano i vestiti che si portano tutti i giorni. Forse la potenza di questo rito è tutta nel suono delle campane, le persone un po’ devono sparire, limitarsi ad essere semplici supporti delle campane. Comunque i turisti sembrano apprezzare e pure io continuo a scattare fotografie come fanno tutti. Alla fine mi è concesso anche l’onore di partecipare alla cerimonia di premiazione.

La festa pubblica è finita e subito ne comincia un’altra a casa Tricarico. C’è Alfonso, c’è Livio, c’è Francesca, c’è il sindaco che sta con noi dal primo giorno. Dormiamo a casa sua e questa è davvero una cosa inusuale. Volendo parlare dei problemi di San Mauro si potrebbe cominciare dal fatto che non c’è un solo posto per dormire. La mia amica Francesca dorme ad Accettura. Il paese è pieno di palazzi storici, ma sono quasi tutti vuoti, a parte quello che ospita il Comune.

La festa a casa Tricarico ripete il copione del giorno prima: ottimo cibo, suoni e canti a oltranza. Alla fine non può mancare il momento di raccoglimento all’eremo di Alfonso. Ma questa volta siamo solo in quattro: io e Livio, Francesca che fa le riprese e Alfonso ispiratissimo. Deposto il bagaglio di noia e di prudenza che sempre ci accompagna, diamo vita a un intreccio di anime che rende difficile il congedo.

Il giorno dopo non succede niente. Fuori da San Mauro il mondo sembra finito.

 

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