X
<
>

Share
5 minuti per la lettura

GLI effetti della crisi sono sotto gli occhi di tutti. E se molti fanno fatica ad arrivare a fine mese, c’è una fetta consistente di lucani che non riesce ad arrivare nemmeno alla prima settimana. E così sempre più persone negli ultimi anni si rivolgono alle parrocchie e in particolare alle Caritas diocesane, sempre più impegnate a dar concretezza al messaggio evangelico. Lo sanno bene anche i consiglieri regionale che nella Finanziaria licenziata nei giorni scorsi, hanno destinato alla Caritas regionale 200.000 euro. Certo non risolveranno i problemi della povertà lucana, ma è un segno di vicinanza a chi ogni giorno si spende per i più poveri. A tal proposito abbiamo incontrato il delegato regionale della Caritas, Peppino Grieco e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Quali persone si rivolgono agli uffici della Caritas?

«Il raggio di azione della povertà economica si sta progressivamente allargando, e coinvolge un numero crescente di persone e famiglie tradizionalmente estranee al fenomeno. Per le nuove famiglie povere, la povertà non è sempre cronica, ma rappresenta una situazione episodica del proprio percorso di vita. Non è il prodotto di processi di esclusione sociale irreversibili, ma di un più generale modo di vivere, di una instabilità delle relazioni sociali, di una precarietà che coinvolge il lavoro, le relazioni familiari e l’insufficienza del sistema di welfare. Le nuove situazioni di povertà che si affacciano ai Centri Parrocchiali coinvolgono pesantemente l’intero nucleo familiare: tutti i membri della famiglia si trovano a vivere, in modi diversi, una condizione di stress e di sofferenza, anche se le donne e le nuove generazioni si trovano a pagare il prezzo più elevato. Ci sono i poveri “cronici”, ma anche quelli “inattesi”: single separati, precari, cassaintegrati, commercianti e piccoli imprenditori. I quarantenni continuano a essere i più fragili».

Cosa vi chiedono?

«I bisogni maggiormente manifestati sono rappresentati dalla richiesta di lavoro, a causa della povertà e dei problemi economici, con a seguire i problemi di salute, abitativi e di altro tipo. Le richieste si concentrano principalmente sul lavoro e sui sussidi economici. Grazie all’attività di ascolto la Caritas riesce ad individuare i bisogni di chi ad essa si rivolge, per i motivi più svariati, tra i quali: contributi per l’alloggio, beni e servizi materiali, coinvolgimento in possibili occasioni di lavoro, pagamento di utenze, voucher alimentari, trasporto, spese sanitarie e sussidi scolastici. Prima di fornire soluzioni economiche, ci preoccupiamo di conoscere e verificare la storia della famiglia, chiedendo anche i documenti. Per fare tutto questo spesso ci avvaliamo dell’aiuto delle municipalità e delle relative parrocchie. Noi infatti non ci sostituiamo ai servizi sociali del comune, ma lavoriamo in totale sinergia. Una volta poi certi dei problemi della persona che ci troviamo davanti offriamo l’aiuto. Bisogna dire che la Caritas, come è facilmente immaginabile, non riesce a far fronte alla sempre più crescente richiesta d’aiuto economico da parte delle persone con disagio».

E’ cambiata la tipologia del “povero”?

«È cambiata negli anni anche la tipologia delle situazioni più difficili: prima erano gli anziani, le famiglie molto numerose o con disoccupati, oggi sono nuclei di giovani, famiglie con uno o due figli, anche famiglie con il capofamiglia che lavora. Al fine di dare una concreta risposta ai bisogni è stato varato il cosiddetto “Prestito della Speranza”, nato dall’accordo tra la Conferenza Episcopale Italiana e l’Associazione Bancaria Italiana. Essa è un’iniziativa orientata a favorire prestiti agevolati, garantiti da un Fondo specificatamente costituito dalla Cei. L’obiettivo è quello di dare un segno di speranza a quanti oggi si confrontano con gli effetti più immediati della crisi e, nel contempo, educare all’uso responsabile del denaro e al dovere della restituzione, una volta superata la situazione di indigenza. I potenziali destinatari sono tutte le famiglie che versano in situazioni di disagio o di indigenza e le microimprese da esse promosse».

Dalla sua esperienza, è aumentata la povertà nella nostra regione?

«La nostra esperienza, pur se limitata ai nostri osservatori diocesani, ci porta inevitabilmente a sostenere che è particolarmente grave la condizione delle famiglie in Basilicata in quanto l’incidenza di povertà raggiunge tassi alti e dove il fenomeno riguarda più di una famiglia su quattro. Diventa sempre più urgente superare la logica dell’assistenzialismo e della redistribuzione per costruire un modello di welfare generativo e partecipativo e di porre in essere un piano di contrasto alla povertà. Per quanto attiene alla diocesi di Melfi Rapolla Venosa le persone che hanno usufruito di aiuto son in numero di 1.720 alle quali sono stati offerti aiuti per complessivi 126.974 euro».

La Caritas diocesana di Melfi è sempre in prima linea nell’accoglienza, in particolare quando nella zona nord della Basilicata, arriva l’ondata di migranti per la campagna del pomodoro. Lo scorso anno, dal suo punto di vista, è cambiato qualcosa nella gestione dell’emergenza?

«Nel corso di un convegno organizzato dalla nostra Caritas sulla emergenza “Boreano”, il Presidente Pittella assunse l’impegno di istituire una task force per cercare di mettere in campo le azioni e le sinergie per gestire preventivamente e non in fase emergenziale il consistente flusso di lavoratori migranti atteso come ogni anno nelle aree territoriali vocate alle coltivazioni ortofrutticole e del pomodoro in particolare. Si è lavorato per realizzare alcuni Centri di accoglienza territoriali dotati delle infrastrutture adeguate a garantire le condizioni di soggiorno igienico sanitarie rispettose dei diritti umani dei lavoratori. Purtroppo i tempi di attuazione si sono prolungati e i centri sono stati attivati soltanto verso la metà di settembre. Mi auguro che quest’anno si possano migliorare gli interventi e soprattutto aggiungere all’accoglienza una dura lotta allo sfruttamento di tanti lavoratori. La nostra Caritas ha dato vita ad un presidio fisso ed uno mobile in favore dei lavoratori stagionali stranieri, volto ad assicurare loro un luogo di ascolto, di incontro, di presa in carico, di orientamento rispetto alla situazione giuridica, medica, lavorativa, di accompagnamento a servizi di seconda soglia, specifici rispetto alle prime necessità riscontrate».

g.rosa@luedi.it

Share

COPYRIGHT
Il Quotidiano del Sud © - RIPRODUZIONE RISERVATA

Share
Share
EDICOLA DIGITALE