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ISLAM Fawzi è nato nel 1989, vive ad Albano di Lucania. E’ sposato ed è musulmano. Attualmente si trova al Cairo dove occupa il ruolo di assistente al dipartimento di italianistica alla facoltà di Lingue dell’università di ‘Ayn Shams al Cairo. Qui sta concludendo la tesi del suo master, un lavoro sulla figura della donna nella poesia di Fabrizio De André e di Nizar Qabbani. La conversazione parte da una considerazione del dottore Mustafa Mahmud, il medico, scienziato e scrittore egiziano scomparso nel 2009.
«Lo sbaglio dei movimenti islamici – disse Mahmud – in passato era quello di provare ad abbattere il governatore e a travolgere il suo regime; per cui finirono in galera invece di far parte del Parlamento. (…) L’arma dell’Islam è la persuasione non il terrorismo. Tutto ciò che cade sotto la categoria del terrorismo è tutta un’altra cosa, ma non l’Islam; è un’altra cosa che si chiama crimine».
Primo punto, nonostante lo spettro dei terroristi che aleggia sul concetto stesso di integrazione c’è da ragionare: «La violenza non è dell’Islam – racconta Fawzi – Dio ha ordinato ai musulmani di usare le armi solo per difendersi quando affrontano il pericolo. Se viene uno a casa tua, con un’arma, lo lascerai ucciderti?».
Fuori dal velo, dalla patina accecante dei social network viene fuori l’immagine di un Islam che non può essere rappresentato come una religione di violenza. L’accusa stessa di “blasfemia” mossa contro la redazione di Charlie Hebdo deve essere contestualizzata partendo sempre dal concetto di satira.
«Il terrorismo – dice Islam – è altra cosa. Io non accetto che venga derisa la mia religione con la satira, ma risponderei con le parole, come loro». E questa è opinione condivisa in tutta la comunità musulmana lucana.
A questo punto Fawzi ci gira uno scritto di suo pugno, in un passaggio dice: «Abbiamo un esempio notevole della tolleranza del Messaggero di Allah: Maometto aveva un vicino di casa ebraico che gli metteva spine e immondizia davanti alla porta di casa, ogni mattina. Una giorno Maometto non trovò queste solite cose. Che fece? Chiese del vicino e venne a sapere che stava male. Quindi lo andò a trovare. Una visita di cortesia che meravigliò l’uomo a tal punto che divenne musulmano. Un altro esempio molto famoso è quello della vittoria di Maometto contro gli infedeli della Mecca, che lo volevano uccidere. Il profeta islamico fu inviato per la misericordia di tutto il mondo; dopo la vittoria domandò loro: “Cosa pensate che farò con voi?” Loro risposero: “Sei un generoso figlio di un generoso”. Il messaggero di Allah rispose: “Andate che siete liberi”. Pensiamoci un po’: l’Islam non dice mai di uccidere una persona ingiustamente. Non possiamo giudicare male nessuno. Siamo tutti sulla stessa barca».
Però c’è un Occidente che «non vuole l’Islam, lo teme. E non solo l’Occidente, anche i Paesi islamici stessi. Basta guardare la cosiddetta Primavera Araba. I motivi di questa paura sono diversi, c’è chi ignora la realtà dell’Islam e pensa che rappresenti solo il terrorismo. Io da musulmano cerco di capire l’altro ma non tutti lo fanno purtroppo». La Basilicata, almeno per Islam Fawzi, pur essendo «molto trascurata» è un’isola felice: «Qui non affronto difficoltà, questo perché rispetto gli altri. La famiglia di mia moglie è una famiglia cristiana, sono andato al matrimonio di mia cognata in chiesa. Certo, potrei non essere d’accordo parlando di religione con i cristiani, è normale, ma non odio. Parlo e dialogo con la logica. Il dialogo è la mia arma e dovrebbe essere l’arma di tutti i musulmani. Le armi da guerra devono restare agli eserciti per difendersi solo quando vengono obbligati a usare le armi dai nemici, ma prima di tutto possiamo risolvere col dialogo. In questo modo non avremo bisogno delle armi».
C’è bisogno di chiarezza, di definizione. A volte anche la stampa sbaglia, definendo i terroristi parigini come musulmani. «Hanno commesso un crimine, quindi sono dei criminali. Possono essere definiti come vogliamo, ma non sono musulmani».
v.panettieri@luedi.it
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