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«Da giorni sono impegnato in un compito immane: rimettere ordine nelle mie carte, accatastate di qua e di là e deciderne la destinazione: proprio ieri ne ho trasferito un bel mucchio – una quindicina di scatoloni – al Centro di cultura e storia amalfitana». Ma quello che il giornalista e storico Sigismondo Nastri non poteva aspettarsi è il tesoro spuntato fuori da quegli scatoloni.

È un tesoro tutto lucano, di cui racconta sul suo blog (leggi qui l’articolo completo).

Tra le carte messe in ordine c’è un «manoscritto che risale, credo, all’inizio del Novecento e reca, nel retro del frontespizio (il titolo è: “Superstizioni e profezie”), la firma dell’autore, Donato Maiorino, e l’indicazione “Riservati tutti i diritti”. A un secolo, più o meno, di distanza, credo di potermene occupare senza problemi. Prima di arrivare a me, il documento faceva parte dell’archivio di famiglia di mia moglie, che ha origini lucane per parte di padre». 

«Da quel che m’è sembrato di capire – scrive – scorrendo i dodici fogli rigati, scritti fitto fitto con grafia semplice e pulita, il Maiorino doveva essere di Rionero in Vulture, dato che in più passaggi accenna – con una certa ironia – alle abitudini del popolo rionese che crede “al fischio che produce la legna mentre si arde, e voi, trovandovi sul posto, vedete che chi è presente sputa su quella piccolissima linguetta di vampa che si produce per mezzo di esso. Perché si fa questo? Perché, si dice, che vi sono gente che li critica, ma non si conosce chi lo fa. Così, sputando su quel fuoco, si allontana la persona che critica”».

Si tratta di una raccolta di superstizioni, riti e abitudini popolari della zona del Vulture e in generale della Basilicata. Qualcuna riguarda anche il periodo delle festività natalizie. 

«Il popolino, come anche dai signori, fa in casa propria delle ‘pettole’ – pasta fritta nell’olio di oliva – e proibiscono di stare i propri mariti in casa. Le donne per toglierseli dalla loro abitazione danno ad essi il denaro necessario per mandarli a bere in una bettola, perché – esse dicono – stando in casa e bevendo l’acqua essi si bevono l’olio che vi sta nella padella sul fuoco e le ‘pettole’ non vengono secondo il loro pensiero. Queste fritture di pasta fatta in casa le fanno attocigliate come se fosse un serpe che sta nel buco. Dopo terminato questo lavoro, con un po’ di pasta, esse fanno vicino al camino il segno della croce e resta lì per vario tempo finché, questo, non si dissecca e cade da sé. In quella casa dove non c’è il ‘San Martino’ – come esse lo chiamano – non si sono fatte quelle fritture suddette. Ciò è segno di miseria o di disturbi in famiglia. Le donne quando entrano in una casa e vedono quel segno, dicono: ‘San Martino!’. Si scambiano il saluto facendosi assaggiare la roba fatta.”».

 

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