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LAGONEGRO – I funerali di Pino Mango si sono svolti ieri mattina nella Chiesa Madre di Lagonegro. Il corteo funebre, che dopo la cerimonia s è recato verso il cimitero, era partito dalla casa paterna in via Sant’Antuono dove era stata allestita la camera ardente del cantante per permettere ad una processione incessante di porgergli un ultimo saluto. Mango – che da poco aveva compiuto sessant’anni – era il musicista più conosciuto della Basilicata, che nel mondo intero veniva associata al suo nome: è morto nella notte tra domenica e lunedì mentre suonava alla tastiera, cantando una delle sue perle, “Oro”, e chiedendo “scusate” al suo pubblico. È morto con la musica, interrotta solo per un attimo prima di divenire eterna, la passione di tutta la sua vita. Il paese intero, scioccato e affranto, si è fermato per questo lutto – divenuto poi duplice – che rimarrà incancellabile: negozi chiusi, studenti delle scuole con i gonfaloni ad attendere la bara per omaggiarla, autorità politiche e istituzionali da ogni angolo della regione, a cominciare dal governatore Marcello Pittella, dal presidente del consiglio regionale Piero Lacorazza, dai sindaci del lagonegrese e dai rappresentanti dell’amministrazione di Policoro. La piazza antistante la concattedrale è stata invasa sin di primo mattino dalle telecamere e dai microfoni dei media locali e nazionali, e tra le tonalità di nero delle migliaia di persone vestite a lutto spiccavano le divise rosse dei giocatori della Rinascita Volley, la squadra locale di pallavolo. Tanti gli uomini delle forze dell’ordine, impiegati con gli agenti della polizia municipale e con i volontari della protezione civile “I Sirinesi”; chiesa stipata all’inverosimile di familiari, amici, fans, e di gente in lacrime che nemmeno ad un concerto. Il rito è stato officiato dall’arcivescovo Francesco Nolè, alla presenza del parroco don Mario Tempone e di numerosi altri prelati in viola, attorniati di chierichetti. Commovente il coro, che cercava con l’organo punte di note ad un tempo dolci e acute, in falsetto, quasi a voler ricordare, e ripetere, le sonorità inconfondibili della voce di Pino. «Dobbiamo essere pronti per partire, per andar via, anche se non sappiamo qundo verrà il tempo, e se sarà un tempo giusto – ha detto l’arcivescovo – ma nella professione di fede e durante la nostra esperienza terrena dobbiamo gioire per essere stati capaci di alleviare il dolore e la miseria anche di una sola persona». Don Mario ha esordito nell’omelia chiamando Pino per nome, e chiamandolo «artista», per rivolgersi poi alla moglie Laura e ai figli Filippo e Angelina, esortandoli a trovare conforto al loro sconcertante dolore nella frase che proprio il loro caro compianto ripeteva spesso: «non moriremo mai». «La morte non esiste – ha continuato – è solo una prosecuzione della vita; è un compimento, non una conclusione. E Pino è finito tra la sua gente, andandosene sommessamente, dopo aver dato tutto quello che aveva da dare, la musica, il suo dono di Dio per gli altri». Un applauso interminabile ha accompagnato la bara fuori dalla chiesa, un applauso chiesto con un gesto delle mani dalla moglie Laura e ripetuto ad oltranza. Intanto, intorno, assoluto silenzio e un sussurrare accorato di animi che Eduardo De Filippo avrebbe definito un “pepetiare”, un sussulto diffuso come un colpo al cuore, e un sottofondo ideale che con purezza acustica sparava a palla le ultime note, quasi che tuti volessero dirglielo in musica: «perché tu sei oro, oro oro».

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