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SE gli open data diventano una moda cosa resta al cattivo amministratore? La storia recente insegna che è facile trasformare le idee in vuoti slogan se si ha soltanto un po’ di astuzia. Ecco allora un piccolo saggio per “male intenzionati” con i rimedi più abusati per resistere alla trasparenza anche ai tempi di internet. Senza la pretesa di una trattazione esaustiva. Stratagemmi ed espedienti di ogni sorta liberamente ispirati da quelli realmente adottati tra gli uffici di via Anzio e quelli di tante piccole amministrazioni sparse in Basilicata. Alcuni sono stati oggetto di cronache, in passato. Altri invece sono rimasti ancora semi-sconosciuti, ma sono già affiorati qua e là nelle aule dei vari tribunali competenti, dove ogni giorno il cittadino prova a far valere i suoi diritti.
1) Selezionare a monte il tipo di dati da divulgare. Digitalizzare soltanto il necessario e creare un archivio cartaceo per conservare gli altri (si pensi alle delibere di spesa per gli incarichi ai legali incaricati di assistere gli amministratori accusati di fatti collegati alla loro funzione). Affidare l’archivio cartaceo alla persona giusta, preferibilmente un soggetto esterno all’amministrazione e di nomina del tutto fiduciaria.
2) Quando si decide di pubblicare dei dati, farlo in quantità tale da rendere impossibile una loro completa ricognizione, inondando il destinatario di una marea di informazioni, in cui è impossibile distinguere tra quelle utili e quelle inutili.
3) Aggiornare in continuazione la piattaforma da adoperare per la loro consultazione, in modo da distogliere l’attenzione dal contenuto al mezzo. Prendere confidenza con una nuova interfaccia può richiedere un impegno notevole.
4) Scegliere il momento giusto per divulgare i dati più delicati. La regola è la stessa da sempre, e si applica benissimo anche ai new media. La legge impone di pubblicare alcuni dati, ma sui ritardi è sufficientemente elastica. Trattenere un’informazione fino a quando i suoi destinatari sono meno predisposti a riceverla non è certo un reato. I periodi di massima distrazione restano le ricorrenze e la settimana di ferragosto. Oltre agli appuntamenti elettorali per quelli di rilevanza politica.
5) L’inglese. Se c’è qualcosa che non si vuole proprio pubblicare è meglio appellarsi alla “privacy” che alla “risevatezza” o al “segreto”, concetti che rimandano ad antiche prerogative. Mentre la “privacy” viene comunemente percepita come un principio derivato dai sistemi più moderni ed evoluti come quello anglo-sassone. L’inglese è anche l’idioma comunemente utilizzato in ambito comunitario.
6) La pubblicazione parziale. Le leggi impongono la pubblicazione di numerosi atti. Ma non specificano se vanno pubblicati per intero, in sintesi o soltanto per titoli. Molto è demandato a chi in concreto ne effettua l’inserimento sulla piattaforma prestabilita, che, oltre a scegliere il momento giusto può decidere, anche come far conoscere un dato sensibile. L’oggetto di un atto non include necessariamente l’indicazione dei soggetti a cui è rivolto. Così come quello di una delibera finale di spesa può fare riferimento a una precedente delibera in cui si è programmato l’esborso, senza menzionare nè il suo ammontare né i beneficiari.
7) Deterrenza. Se nonostante l’adozione dei rimedi di cui al punto 4 e 6 un dato sensibile ha destato particolare attenzione ed è stato richiesto l’accesso integrale agli atti d’interesse, si può resistere in diversi modi. C’è la Commissione per l’accesso agli atti amministrativi, insediata negli uffici della presidenza del Consiglio dei ministri, che per prassi impiega circa 60 giorni per rispondere alla richiesta di un parere. Poi c’è il Tar che per valutare un ricorso richiede l’assistenza di un legale e il versamento di un contributo di 300 euro, e per decidere impiega un tempo variabile, da poche settimane a diversi mesi. Contro una sentenza sfavorevole del Tar si può ricorrere in Consiglio di Stato.
E di fronte a una sentenza definitiva si può sempre resistere fino all’esito di un ulteriore giudizio di ottemperanza per cui la parte interessata deve versare un contributo di 2mila euro. Internet ha abbattuto i tempi di accesso all’informazione, ma non quelli di funzionamento della giustizia amministrativa che rimane il migliore alleato contro l’ossessione della trasparenza, e di recente ha ristrutturato il proprio portale proprio per impedire l’accesso illimitato alle informazioni sul contenzioso esistente. Per le ragioni si veda al punto 5.
l.amato@luedi.it
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