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La strada fuori dal palazzo della Regione è umida di pioggia. Qualche auto. Non c’è un grande traffico dalle parti di via Verrastro. E’ un classico sabato mattina. Sono quasi le dieci. Di manifestanti però nemmeno l’ombra. Il governatore Pittella è alla scrivania presidenziale. Firma delibere e carte. Ogni tanto si ferma e si affaccia alla finestra. La protesta è lontana. Ma si informa. Alza il telefono e chiede notizie. Non sono allarmanti. Poi riceve dipendenti e collaboratori. Modifica alcuni documenti a penna. Poi di nuovo si informa della protesta. Ma il piazzale è vuoto e tale rimarrà. Ormai è chiaro. La manifestazione contro lo Sblocca Italia è in altre sedi. Anche Speranza è altrove: l’incontro è stato rinviato a lunedì. «Ma non per paura».
Spiega Marcello Pittella. Piuttosto «per una forma di rispetto per chi la pensa diversamente».
E quindi prende appunti su quello che deve dire nella tarda mattinata al congresso di Legacoop che si svolge all’Unibas. A pochi chilometri. Anticipa: «Spiegherò la mia posizione in quella sede. Voglio dire la mia. Non ci sto a passare come il colpevole».
E quindi sulla scrivania presidenziale arriva una carta in cui la Regione chiede a Arpab di intensificare i controlli di diossina e altre sostanze nocive nella zona di Fenice e in altri territori a rischio. Si ferma e dice: «Io sono il primo che deve difendere la Basilicata. Se non difende la propria regione il presidente chi lo deve fare?». Lo dice alzando i toni. Parla della salute dei propri figli. Si siede di nuovo comodamente e racconta delle ultime settimane. Pochi minuti.
Arriva l’autista. Prende il cappotto e parte per l’Università dove è atteso. Arriva poco prima delle undici mentre parla Laguardia, il presidente regionale di Legacoop. Poi parla Gianni Pittella. Il fratello e capogruppo del Pss in Europa. “Marcello” prende appunti. A un certo punto si apparta con l’asessore Liberali. Si isolano per qualche istante. Gli interventi si susseguono. Arriva l’una. Tocca a lui. Guadagna il microfono e parla. Nel suo stile agitando le mani. Replica a muso duro contro chi “strumentalizza sullo Sblocca Italia”. Va avanti.
Intanto tutti guardano Piero Lacorazza seduto in seconda fila. I due si ignorano fino a una fredda stretta di mano finale.
La protesta in piazza intanto è finita. Nessuno studente ha protestato all’Unibas. Non accade più nulla. Il governatore guadagna l’uscita. Ma prima si ferma a discutere cordialmente con il segretario della Cgil, Genovesi sotto lo sguardo attento di Somma di Confindustria. Guadagna quindi l’uscita. E’ atteso a pranzo al Motel Park dal fratello Gianni per un confronto politico.
Poi parte per Lauria dove lo attendono i figli. La protesta del sabato si è conclusa da ore. Echi solo sul web ancora. La giornata però non è finita ancora. E non è finito questo sabato di politica e petrolio. Partecipa a un altro dibattito. Nessuna contestazione. Ci mancherebbe: questa volta è quello nella sua Lauria in cui si discute della prevenzione dei tumori femminili. Non voleva intervenire. Poi si fa convincere per le conclusioni serali. E di nuovo prima i saluti e poi torna sul tema di giornata.
E al “suo” pubblico dice di non voler essere additato come colui che avvelena la Basilicata. Si scalda sul palco. E va a oltranza. Difende quanto fatto per le modifiche dello Sblocca Italia.
Ringrazia i parlamentari e Speranza e dice che non arretrerà di un millimetro dalla difesa della Basilicata. Applausi. E chiude con il messaggio ai vescovi: «Sono preoccupato come loro. Sono sensibile come loro. Conosco bene la realtà delle 30 mila famiglie lucane che vivono in povertà. E voglio ricordare che la Basilicata è l’unica regione in Italia che mette in campo il reddito di cittadinanza con soldi propri. E abbiamo costretto il Governo di cambiare quell’abominio della card benzina e mettere 75 milioni di euro per sostenere le famiglie indigenti. Ma se non avessimo condotto questa battaglia sullo Sblocca Italia e sul petrolio non so come avremmo potuto affrontare questa emergenza».
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